Ostacoli tecnici ed economici rallentano il passaggio ad una moda circolare
(Rinnovabili.it) – Ormai sfuggire alle accuse di “fast fashion” e consolidare un settore moda circolare è diventato un mantra per le grandi aziende produttrici di capi di abbigliamento. Circa il 97% dei vestiti, ad oggi, finisce in discarica secondo McKinsey. E il percorso dal punto vendita al rifiuto è estremamente breve. il 60% dei prodotti viene gettato entro 12 mesi dalla data di produzione.
Oltretutto, l’industria della moda contribuisce a provocare una importante quota di emissioni di gas serra. Tra l′8% e il 10% delle emissioni globali, secondo le Nazioni Unite, è imputabile alla moda. In pratica, più di tutti i voli internazionali e il trasporto marittimo messi insieme. E mentre altri settori fanno progressi nella riduzione del carbonio, per la moda le stime prevedono una crescita.
In questo contesto, i grandi marchi stanno provando ad apportare alcune modifiche per entrare nell’era della moda circolare. Levi’s è in grado oggi di produrre i suoi storici 501 con il 40% di fibre riciclate e il 60% di cotone organico. Adidas afferma di essere sulla buona strada per raggiungere il 100% di poliestere riciclato entro la fine del 2023. Zara ha invece l’obiettivo dichiarato di utilizzare solo cotone organico, tessuti riciclati, poliestere riciclato e lino organico entro il 2025. Si tratta di cambiamenti difficili da fare, perché finora meno dell′1% dei tessuti prodotti per l’abbigliamento viene riciclato in nuovi vestiti.
Il più grosso ostacolo è il mix di tessuti utilizzati oggi nel processo di produzione. Questa tendenza rende più difficile riciclare una fibra senza danneggiarne un’altra. Un qualunque maglione può contenere diversi tipi di fibre: ad esempio cotone, cashmere, acrilico, nylon e spandex. Nessuna di queste può essere riciclata insieme ad un’altra, come invece accade con i metalli. Se non si mette mano alle strategie produttive, dunque, sarà difficile aumentare le performance ambientali del settore. Anche perché il riciclo migliora solo le performance della parte finale della filiera, mentre l’impatto ecologico maggiore sta in gran parte nella fase produttiva e nel trasporto. Forse dovremo abituarci a produrre meno, non soltanto meglio.