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Italia prima per economia circolare: i dati di Circonomia 2022

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I dati sull’economia circolare in Italia

Come sta andando l’economia circolare in Italia? Secondo i dati del report Circonomia 2022, più che bene. Il Belpaese è il primo in Europa per riciclo e basso consumo di materia. Peccato che non si possa dire altrettanto sulla transizione energetica.

Il rapporto, presentato ieri al Festival dell’economia circolare e della transizione ecologica ad Alba, parte dallo scenario internazionale e globale, tenendo conto delle grandi criticità di questi anni. In primis la crisi climatica, insieme all’aumento dei prezzi del gas, tendenza avviatasi nel 2021 e cresciuta vertiginosamente per lo scoppio del conflitto in Ucraina. 

Secondo quanto espresso nello studio i due fenomeni sono in relazione e solo basando la risposta alla crisi climatica sulla decarbonizzazione sarà possibile rispondere alla crisi energetica in corso. 

I dati confermano il trend positivo dell’economia circolare in Italia, che si conferma prima tra i 27 stati UE per efficienza di risorse. Le misurazioni sono state effettuate mediante un indice di circolarità basato su 17 indicatori. Il nostro Paese, secondo l’indice, è al primo posto per consumo interno di materia pro capite, percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti, energia consumata per unità di PIL e consumo di materia per unità di PIL. 

La crescita positiva è omogenea lungo lo stivale, con punte di diamante nelle macroregioni di Nord e Centro. Indietro sulla transizione ecologica soprattutto il Sud, le cui regioni hanno risultati mediamente positivi ma legati ai bassi livelli di consumi e all’arretratezza economica generale. 

Male la transizione energetica: decarbonizzazione e rinnovabili bloccate

Male invece la transizione energetica: la decarbonizzazione è bloccata, così come lo sviluppo delle nuove energie rinnovabili. Punti critici sono soprattutto il solare e l’eolico, fermi al palo dal 2015 nonostante il calo dei costi, mentre nel resto d’Europa avanzano velocemente.

Tra il 2016 e il 2020 nel nostro paese abbiamo installato energie rinnovabili in una quantità che sfiora appena un terzo della quota pro capite europea e quella di gran parte dei paesi presi singolarmente. Se infatti a livello UE c’è stato un guadagno di 201W per abitante, in Italia arriviamo appena a 72: il dato è 9 volte inferiore a quello dei Paesi Bassi. Mentre in Europa tra il 2015 e il 2019 si è cresciuti di 2,1 punti nella quota rinnovabili, il nostro Paese si è attestato appena a 0,7 punti in più. Stesso discorso per il settore termico, cresciuto di 2,1 punti nella media europea e di appena lo 0,4% per noi.

Andiamo male anche in settori in cui in passato abbiamo brillato, come quello del miglioramento dell’efficienza energica. Nel 2000 eravamo primi, adesso siamo scesi al quarto posto perdendo punti nel nostro vantaggio sulla media europea: siamo passati da +28% a + 19%. 

Il settore della mobilità risulta egualmente problematico: tredicesimi in UE (Regno Unito compreso) per immatricolazioni di auto elettriche, per ogni 100mila abitanti in Italia ci sono solo 50 punti di ricarica di auto elettriche, a fronte dei 73 della media europea. 

Brilliamo per reazione e non per strategia

Tutti i settori in cui riusciamo ad avere buone prestazioni, secondo il rapporto, ci vedono brillare in performance ma non in strategia. 

I dati positivi per quanto riguarda l’economia circolare in Italia, il consumo di materia, il consumo energetico o i tassi di riciclo dei rifiuti dipendono più dall’assetto generale del nostro Paese e dalla scarsità strutturale di materie prime che da scelte politiche. Anche laddove siano conseguenze di scelte di attori economici o politici, si tratta di reazioni adottate per fronteggiare la competitività del sistema. 

Questa assenza di visione strategica è confermata – secondo il rapporto – nella debolezza del nostro Paese per quanto riguarda l’innovazione tecnologica green. Nel decennio tra il 2008 e il 2018 i brevetti del nostro paese in “ambiente e cambiamento climatico” sono rimasti al di sotto del 2% (1,8) di quelli dei Paesi Ocse, al di sotto della Danimarca e pari a quello dell’Olanda, il nostro dato rappresenta appena il 33% di quello francese e il 13% di quello tedesco. 

Questi numeri si inseriscono in un quadro più ampio di arretratezza di fronti fondamentali per la modernizzazione socio-economica: il tasso di povertà in Italia è più alto che negli altri Paesi; il 23% dei giovani tra i 15 e i 29 è senza lavoro né istruzione, a fronte del 13% della media europea e tra i 27 Paesi UE siamo al ventesimo posto per trasformazione digitale. 

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