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Imballaggi, le riserve sul Regolamento UE

Non si placa lo scontento per la proposta della Commissione Europea sulla riduzione degli imballaggi. I problemi sembrano essere tanti, di ordine economico e logistico. L’impatto sulle filiere produttive rischia di essere pesantissimo. Ma soprattutto si lamenta la mancanza di un percorso condiviso e l’imposizione di tempi realisticamente non raggiungibili

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Foto di germannavas1 da Pixabay

(Rinnovabili.it) – La proposta della Commissione Europea sulla riduzione degli imballaggi sta suscitando perplessità e opposizioni da più parti. Dalla distribuzione all’ortofrutta all’alimentare la bocciatura non è solo italiana, ma arriva anche da Europen, l’organizzazione di categoria europea.

Armonizzare quadri normativi disomogenei

Avere tutti gli imballaggi riciclabili dal 2030 sarà un miraggio?

Nelle intenzioni della Commissione c’è il desiderio di armonizzare i quadri normativi dei diversi Paesi membri, che sono tra loro fortemente disomogenei. Requisiti omogenei invece «ridurranno le distorsioni della concorrenza e invieranno segnali chiari agli attori del mercato non UE che intendono immettere prodotti sul mercato interno».

Secondo quanto indicato dalla Commissione Europea, «se non si agisce, entro il 2030 l’UE registrerà un ulteriore aumento del 19% dei rifiuti di imballaggio e, per i rifiuti di imballaggio di plastica, addirittura del 46%».

La proposta fa parte del pacchetto sull’economia circolare presentato dal vicepresidente della Commissione UE con delega al Green Deal, Frans Timmermans, e dal commissario all’Ambiente, Virginijus Sinkevičius.

Dai rifiuti, al riuso al riciclo

Alla base della proposta c’è la volontà di diminuire entro il 2040 i rifiuti da imballaggio del 15% pro capite per Stato membro, riutilizzarli grazie al sistema del deposito (che secondo Federdistribuzione ha avuto risultati inferiori alle aspettative e addirittura «effetti critici sui sistemi di raccolta e riciclo già operanti») e continuare a riusarli fino al riciclo.

In estrema sintesi, entro il 2030 il 20% delle bevande take-away sarà servito in imballaggi riutilizzabili o usando i contenitori dei clienti (obiettivo finale è l’80% nel 2040) e saranno vietate le confezioni monouso all’interno di bar e ristoranti (bustine di zucchero o confezioni monodose di salsine) e i flaconcini di shampoo e bagnoschiuma negli hotel. 

Inoltre i nuovi imballaggi di plastica dovranno contenere una quota obbligatoria di materiale riciclato.

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Ci saranno aumenti per i consumatori?

La nota con cui Coldiretti e Filiera Italia esprimono la loro contrarietà al provvedimento è molto chiara: «La proposta della Commissione, seppur condivisibile negli obiettivi di limitazione dei rifiuti, avrà effetti opposti e negativi sulla filiera produttiva europea e sui consumatori».

Pur riconoscendo che sia giusto limitare i rifiuti, il presidente di Coldiretti Ettore Prandini esterna una forte preoccupazione per la filiera del packaging italiano e soprattutto per le tante aziende che hanno fatto forti investimenti in materiali sostenibili, riciclabili e tecnologicamente avanzati.

Il timore è che «l’effetto negativo sui costi di produzione dell’intera filiera agroalimentare» finisca per abbattersi sui consumatori, già in difficoltà economica.

Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, ritiene che il provvedimento sugli imballaggi finirà per avere un impatto negativo sull’ambiente: «Basti pensare all’enorme spreco di acqua connesso al lavaggio dei materiali che dovrebbero essere riutilizzati nel take away e ai gravi problemi di sicurezza alimentare che potrebbero porsi in merito ad una serie di agenti patogeni trasmissibili in un momento delicato di pandemie come l’attuale».

Contraffazioni e deperibilità degli alimenti

Sia Coldiretti che Filiera Italia denunciano anche un altro aspetto: vendere i prodotti alimentari sfusi ridurrà «il livello di controllo e di rintracciabilità contro le contraffazioni», per non parlare dell’aumento dello spreco: senza imballaggi alcuni prodotti alimentari saranno più deperibili.

Inoltre si porrebbe ancora una volta la questione delle differenze tra prodotti UE e non UE, che non seguirebbero le stesse regole.

Sulle medesime posizioni anche Confagricoltura: «Si è scelto di mantenere l’impostazione di Regolamento direttamente applicabile quando sarebbe stato opportuno preferire la “direttiva” come strumento legislativo, così da permettere a ogni Stato Membro di avere più tempo nel recepire il dettato comunitario e più spazio di manovra per identificare specifici bisogni del proprio tessuto imprenditoriale».

Oltre ad evidenziare l’aumento di costi legato alla ricerca di materiali alternativi, Confagricoltura ritiene che ci saranno forti ricadute «in termini di sicurezza alimentare e qualità organolettiche per prodotti considerati tra i più deperibili.

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Mancanza di un percorso condiviso

Preoccupano, poi, l’esiguo lasso di tempo concesso per il passaggio al bio e al compostabile di alcuni materiali e il divieto di utilizzare imballi monouso per i prodotti ortofrutticoli freschi. Confermate, infine, le rigide disposizioni che regoleranno l’etichettatura degli imballaggi».

Inoltre si sottolinea la mancanza di un percorso condiviso su un provvedimento che minaccia di avere gravi ripercussioni economiche e «senza il quale siamo convinti che la transizione enfatizzata nel comunicato della Commissione non possa dirsi pienamente compiuta e sostenibile perché incompatibile con le esigenze e le peculiarità dei diversi settori e con obiettivi realistici ed economicamente percorribili.

Una mancanza di realismo, quella dei commissari, ancora più lampante se si considera la situazione di tempesta perfetta o di “policrisi”, come è stato definito proprio a livello comunitario il complicatissimo contesto climatico, politico, storico ed economico – con tutti i principali input produttivi al rialzo – in cui si trova ad operare il settore primario».

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Servono obiettivi realistici ed economicamente perseguibili

Nell’ultima edizione di Interpoma, la fiera internazionale del mercato melicolo, le cooperative dei Paesi che rappresentano il 70% del mercato ortofrutticolo europeo (Belgio, Italia, Francia, Germania, Polonia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna) hanno chiesto alla Commissione Europea un percorso graduale e armonizzato tra i Paesi UE affinché la transizione ecologica sia compatibile con le esigenze del settore.

Ferma restando la necessità di una transizione green, questa deve proporre obiettivi realistici e soprattutto economicamente perseguibili.

Sul piede di guerra anche Mineracqua, la federazione che riunisce le industrie delle acque minerali e delle bevande analcoliche: non solo richiede alla Commissione di fermare l’emanazione del Regolamento, ma anche di effettuare un’attenta valutazione sull’impatto che la normativa avrebbe sul settore.

Mineracqua ritiene inoltre irraggiungibili i tempi imposti per arrivare ai tassi richiesti di riutilizzo e di riciclo.

L’Italia ha superato in anticipo i target UE

Il viceministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Vannia Gava lamenta l’esistenza di «un muro ideologico, l’assenza di aperture al confronto e l’inadeguatezza davanti a situazioni di eccellenza come quella del nostro Paese», ma si dichiara pronta a un confronto in sede europea.

«Se ridurre gli imballaggi significa eliminare i sacchetti per la frutta e la verdura sotto 1,5 kg, allora si vuole incentivare lo spreco alimentare. Se favorire il riciclo significa obbligare gli Stati a organizzare sistemi di deposito e ritiro, allora si vuole smantellare il sistema dei consorzi in Italia.

Consorzi che garantiscono gli eccellenti livelli di riciclo con cui l’Italia ha superato con 9 anni di anticipo i target UE, fondamentali per rigenerare i prodotti, convenienti per i produttori, che fungono da stimolo costante allo sviluppo di processi innovativi per la creazione di materie prime seconde», sottolinea Gava.

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Non manca una critica al sistema del vuoto a rendere con cauzione a carico dei consumatori perché «può costare fino a 10 volte di più dell’attuale sistema di raccolta differenziata, senza la garanzia che possa produrre effetti migliori per il riciclo e registrare un minore impatto sull’ambiente.

Perché punire i Paesi più efficienti?

Se la direttiva imballaggi non ha trovato la giusta applicazione in alcuni Paesi, non si capisce perché debbano essere puniti i Paesi più efficienti, i cui modelli di trattamento dei rifiuti sono delle best practice che andrebbero imitate.

Le imprese, lo dice anche il testo del regolamento, hanno chiesto di incentivare il riciclo, non di affossare un intero comparto industriale».

Ci si trova davanti a una riflessione attenta sull’impatto ambientale degli imballaggi, a pensare di quali si può fare a meno e come riprogettare quelli necessari.

Se da un lato è giusto e doveroso diminuire drasticamente il volume dei rifiuti da imballaggio, dall’altro è indispensabile fare un’attenta valutazione di impatto, esaminare gli effetti sui diversi comparti produttivi, lasciare da parte qualunque posizione ideologica e fare uso di logica e di realismo. Altrimenti una buona proposta rischia di produrre risultati contrari a quelli attesi.

Il confronto è aperto e promette di essere molto aspro.