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Rivoluzione culturale, finanziaria e produttiva: l’economia circolare secondo Sabine Oberhuber

sabine oberhuber“La breve vita dei prodotti che utilizziamo agevola il nostro mutamento culturale: possiamo rinunciare al possesso di qualcosa che non siamo interessati a tramandare”

 

(Rinnovabili.it) – Economia circolare come rivoluzione culturale, ma anche azione pratica che coinvolge sperimentazione tecnica, finanziaria e soprattutto produttiva: ne abbiamo parlato con uno dei fondatori del modello TurnToo, l’architetta Sabine Oberhuber, intervenuta al convegno “Economia circolare in edilizia” insieme a Thomas Rau con il quale ha scritto a quattro mani il libro “Materials Matters”.

 

In questo nuovo approccio, la responsabilità dei prodotti e dei materiali torna al produttore: il consumatore smette di possedere manufatti su cui non può esercitare alcun tipo di potere e diviene un semplice utilizzatore. Al contempo il produttore resta sempre proprietario dei propri prodotti che utilizzerà per vendere servizi; così da avere interesse nel costruire oggetti che durino il più a lungo possibile.

Esaurito il ciclo vitale, i prodotti tornano al produttore che li può disassemblare e ne può riutilizzare i materiali: cambia, quindi, la progettazione che deve rispettare la possibilità di riuso e concepire il materiale (che non diviene mai un rifiuto) come un valore prolungato nel tempo.

 

I prodotti, siano essi edifici, smartphone, lavatrici o semplici lampadine, diventano dei depositi di materiali che se inventariati mantengono inalterato il loro valore: nasce così l’idea del Madaster (dalla fusione dei termini Material e Register; traducibile in italiano con Matasto), una sorta di grande catasto dei materiali in cui registrare i componenti di un prodotto in modo da conoscerne costantemente l’ubicazione, le caratteristiche, il potenziale riutilizzo e quindi il valore.

 

Sabine Oberhuber e Thomas Rau, lo scorso novembre hanno presentato alle Nazioni Unite la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Materiali: il primo passo per innescare uno spostamento, da economia lineare a economia circolare, necessario per riorganizzare il nostro rapporto con il luogo che ci ospita.

 

 

Sabine, come si convince il consumatore medio a rinunciare al possesso e diventare semplice utilizzatore di prodotti?

 

Penso che il concetto di essere utilizzatori invece che consumatori sia collegato con la breve durata della vita dei prodotti che già abbiamo: è qualcosa che sta già accadendo, siamo noi a non esserne completamente coscienti. Nessuno di noi pensa di tramandare prodotti come, ad esempio, uno smartphone, alle generazioni future; non li conserviamo nelle nostre famiglie: li utilizziamo solo per periodi molto brevi delle nostre vite.

 

E’ vero che li possediamo, ma non credo che farebbe davvero una grande differenza se li usassimo per un periodo specifico per poi restituirli al produttore sapendo che quest’ultimo si prenderà cura dei materiali di cui sono composti. Sperimentiamo in parte quest’approccio in servizi come il leasing, ad esempio delle auto. Tuttavia nel leasing interviene un mediatore (l’agenzia che acquista i prodotti e li mette poi a disposizione dell’utenza, ndr) e la responsabilità dei materiali ancora non ricade sul produttore.

Credo che anche la finanza rappresenti un ottimo esempio di come la proprietà non sia qualcosa di strettamente necessario.

Nell’ottica dell’economia circolare non dovrebbe porsi il problema della proprietà: ciò che mi piacerebbe possedere e tramandare è anche qualcosa per cui vorrei sentirmi responsabile.

 

>>Leggi anche Dignità dei materiali, progettazione e riuso: le chiavi dell’economia circolare in edilizia<<

 

Nel vostro libro affermate che il riciclo è comunque parte di un modello di economia lineare mentre il modello TurnToo rappresenta l’economia circolare: pensa possano coesistere? E’ possibile integrare l’attuale downcycling con la circular economy?

 

Al momento, la maniera in cui i processi di riciclo vengono pensati e sviluppati è ancora parte di un’economia lineare: alla fine del ciclo di vita di un prodotto proviamo a intercettare un valore che non avevamo pensato di raccogliere quando lo abbiamo progettato.

I prodotti non sono costruiti per essere smontati, ricostruiti e riusati di nuovo. Nel processo di progettazione di un prodotto nessuno pensa a come recuperare i materiali. Il riciclo diventa così un sottoprocesso: proviamo a fare qualcosa con gli scarti, ma l’economia circolare punta a non produrre scarti.

 

Il modello TurnToo prova a far restare in uso i materiali il più a lungo possibile perché restano di proprietà del produttore, il quale così diviene interessato a vendere prodotti in quanto servizi che durino il più a lungo possibile. Quando non è più in grado di vendere i propri prodotti come servizi allora può tornare ai materiali: in quello specifico momento entrano in gioco le tecnologie di riciclo ma in un’ottica completamente diversa da quella attuale.

Pensiamo che le compagnie di riciclo potrebbero diventare fornitori di servizi per grandi imprese di produttori prendendo parte dall’inizio al processo produttivo, contribuendo alla progettazione dei prodotti, ad esempio, in modo da poterli smontare nuovamente nel processo di recupero.

 

Adottare la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Materiali è il primo passo per una diffusione globale del modello TurnToo: quali saranno i passi successivi? Come si porta avanti questa rivoluzione culturale? Sfruttando l’imposizione legislativa o semplicemente investendo sulla formazione delle future generazioni?

 

Prima che la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Materiali verrà accettata passerà molto tempo: sappiamo che i procedimenti delle Nazioni Unite possono durare anche decenni. Nel frattempo, però, credo sia importante quello che la Dichiarazione possa fare nel modificare il nostro atteggiamento rispetto ai materiali: non farceli più considerare come scarti, nemmeno potenziali.

Un atto come la Dichiarazione serve a restituire la propria dignità a ogni materiale: in quanto esseri umani dovremmo imparare che ogni materiale deve essere trattato con dignità, ma se guardiamo ai dati sulle quantità e la gestione dei rifiuti capiamo di essere molto lontani.

 

E’ un cambiamento culturale, certo; nel frattempo, però, con il collettivo TurnToo portiamo avanti un lavoro a stretto contatto con i produttori, stiamo sviluppando il progetto Madaster: anche questi sono passi importanti per impedire che i materiali divengano scarti deprezzati, scaduti, da recuperare solo come valore di risulta. E’ un passo, quello che proviamo a compiere, in parte culturale ma anche estremamente pratico; punta a dare un contributo finanziario alla progettazione circolare: a nostro parere più progetti un prodotto o un edificio o un’infrastruttura in ottica circolare più alto sarà il valore dei materiali usati e più basso il rischio di deprezzamento, lo scadimento in qualcosa che non serve più a nulla.

 

Allo stesso tempo dobbiamo combattere processi come l’obsolescenza programmata: sono stata molto felice di aver visto che lo scorso Novembre in Italia siano state multate Samsung e Apple per obsolescenza programmata.

Questa è la strada da intraprendere: dobbiamo lavorare a livello legislativo, ma anche sui sistemi di tassazione, sulla scia di quello che abbiamo visto ad esempio con le esenzioni varate dai legislatori svedesi per chi sceglie di riparare prodotti. Se invece di tassare il lavoro tassassimo i materiali, in quanto bene limitato, forse ne vorremmo usare di meno.

 

Azioni simili, a favore del riuso e recupero, rappresentano un’ulteriore spinta per l’economia circolare: la creazione di posti di lavoro, in un momento come quello attuale caratterizzato da una tendenza alla digitalizzazione, è sicuramente un fattore positivo. Allo stesso tempo la formazione e l’educazione sono essenziali: abbiamo bisogno di progettisti, chimici, economisti, tutta una serie di figure che ragionino in questa nuova ottica di circolarità.

 

>>Leggi anche Economia Circolare in Azienda:  9 Case History made in Italy<<

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