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L’economia circolare siamo noi

economia circolare

 

 

L’economia circolare è un nuovo modo di intendere l’economia e nuove declinazioni di politiche aziendali e produttive che passano per la consapevolezza ambientale e i comportamenti responsabili. Ma in che modo l’economia circolare entra nella vita delle città? Il convegno “La città al tempo dell’economia circolare” – dove è stato presentata Atlas-Nuove pratiche per una migliore gestione dei rifiuti, una ricerca sviluppata dallo studio di architetti di Stefano Boeri e Comieco – ha provato a rispondere a questa domanda portando il concetto di economia circolare tra noi, tra i cittadini, nell’ambiente dove viviamo: case, condomini, quartieri, città.

 

I rifiuti fanno parte del nostro quotidiano e costituiscono un problema di primaria importanza nelle metropoli, dove si concentra la maggior parte degli abitanti del pianeta: questo ha fatto sì che la gestione dei rifiuti diventasse un elemento di cui tenere conto in fase di progettazione degli spazi urbani. Sono cambiate le abitudini nelle case e nelle aziende, con positive ripercussioni sull’ambiente. Trent’anni fa lo smaltimento avveniva solo nelle discariche, rammenta Carlo Montalbetti, direttore generale di Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosa), oggi la differenziata ha superato il 50%. La carta è il materiale più presente nella raccolta differenziata (22%) dopo l’organico, e il riciclo degli imballaggi cellulosi è oggi all’80%. Ma dobbiamo migliorare ulteriormente: l’incremento dell’e-commerce ha aumentato la quantità di cartoni da imballaggio da differenziare e riciclare.

 

Ermete Realacci – presidente di Fondazione Symbola e da sempre convinto assertore della difesa dell’ambiente come alleata di una crescita economica virtuosa – tiene a sottolineare che l’economia circolare non è riservata alle anime belle, ma vale miliardi di euro e migliaia di posti di lavoro: per la precisione, oggi fattura in Italia 88 miliardi di euro e impiega oltre 575.000 occupati. Quindi il recupero dei materiali non va fatto perché serve, ma perché conviene. Riqualificare una casa, ad esempio, coniuga design, innovazione e ambiente, la rende più competitiva dal punto di vista ambientale e abbassa le spese di gestione. Sono ancora attivi numerosi bonus per la riqualificazione degli edifici, ma quanti sanno che c’è un contributo del 25% per piantare alberi in terrazzo o nel condominio? O dell’85% per la messa in sicurezza antisismica? Anche in tempi di crisi l’aiuto per la casa motiva gli italiani a spendere, generando di conseguenza economia e lavoro.

 

Parlando di carta, si è visto che anziché pagare lo smaltimento conviene il recupero: ennesimo esempio di competenze e innovazione che generano economia e lavoro nel rispetto dell’ambiente. L’Italia è molto più avanti di altri paesi: è leader in Europa nella legislazione per la messa al bando dei cotton fioc e delle microplastiche nei cosmetici – per dare la misura dell’importanza di questo provvedimento, ricordiamo che in Italia si produce il 60% dei cosmetici mondiali – e il nostro settore manifatturiero investe con profitto in campo ambientale. Cosa significa in concreto? Che ogni anno, grazie al recupero dei materiali, si risparmiano 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e c’è una riduzione di circa 58 milioni di tonnellate nelle emissioni di CO2.

 

La missione dell’architetto è coniugare innovazione e bellezza. Quali soluzioni adottare per la sostenibilità delle città e per la qualità della vita di chi le abita quando parliamo di produzione e smaltimento dei rifiuti? Come trasformare il rifiuto in un valore a partire dall’ambiente domestico? Nello spazio urbano non si tratta solo di razionalizzare la raccolta differenziata, ma anche di individuare criteri biologici, estetici, tecnici e spaziali che rispondano alle necessità di tre scale che entrano in connessione (cucina, condominio e quartiere) e dove le azioni del singolo si riverberano sugli altri: è quello che Stefano Boeri definisce “approccio olistico alla sostenibilità”. Nel Rapporto Atlas lo studio Boeri ha esaminato un campione di città nel mondo e proposto possibili soluzioni per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti secondo principi base tra loro correlati: igiene, decoro, accessibilità, adattabilità, sicurezza, disturbo acustico. Prendiamo l’esempio di Tokio: per 4 categorie principali si arriva a differenziare in 30 sottocategorie. Inoltre, la raccolta prevede che ogni materiale sia lavato, asciugato e schiacciato correttamente, pena pesanti sanzioni: un rompicapo che porta a un tasso di riciclo del 20,6%. San Francisco con l’80% di raccolta suddivisa in 3 soli contenitori è la capitale mondiale del riciclo nella categoria metropoli: un esempio virtuoso reso possibile dall’ingente investimento municipale per l’acquisto di macchinari d’avanguardia. In Italia, la città leader nella differenziata è Milano, che raggiunge il 54,3%. La lettura dei casi evidenzia quindi che semplificare migliora la raccolta e motiva il cittadino a eseguirla: il caso di Tokio parla chiaro, non sono le sanzioni a far funzionare il sistema ma la motivazione. Il nodo dello studio di Boeri è che una nuova visione della città e della sua gestione dei rifiuti può nascere solo dalla collaborazione tra governo e studi di architettura; attraverso incentivi ed educazione si può attivare un meccanismo virtuoso.

 

Approccio interdisciplinare e semplificazione sono indispensabili, avvverte Enzo Bianco (presidente del consiglio nazionale Anci, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani) perché il vero problema sono l’incomunicabilità tra le parti e la giungla normativa: direttive comunitarie, leggi nazionali, regionali, provinciali, urbane e locali spesso in contraddizione tra loro. Bianco auspica una collaborazione di tutti sulla base di sei punti chiave: 1) prevenzione, ovvero riduzione a monte della produzione dei rifiuti; 2) orientare con strumenti economici verso prodotti durevoli e riciclabili; 3) maggiore chiarezza legislativa in materia di end of waste; 4) definire misure efficaci per la fabbricazione di nuovi prodotti, 5) informare in maniera adeguata anche attivando soggetti “aggreganti” come la scuola o la parrocchia; 6) ridefinire le responsabilità del produttore e le filiere del riciclo.

 

Per Gabriele Buia (presidente dell’Ance, Associazione Nazionale Costruttori Edili) sensibilizzare i cittadini sulla differenziata significa farli diventare partecipi del cambiamento, ma per raggiungere questo obiettivo bisogna partire dalla formazione a scuola, educando a una cultura della circolarità. Ognuno di noi deve dare il suo apporto al cambiamento secondo tre linee guida: formazione, ideazione del progetto, utilizzo di materiale sostenibile. Dopo la crisi le città sono cambiate e con loro anche l’edilizia: le città sono motori di sviluppo e stanno nascendo nuovi modi di viverle (chi avrebbe pensato pochi decenni fa all’esperienza del cohousing?), limitando il consumo di suolo.Per questo Buia crede nella demolizione e ricostruzione previa pianificazione, ma anche qui l’eccesso di norme contrastanti è un ostacolo talora insormontabile.

 

Negli anni Sessanta la crescita avveniva senza regole, oggi le produzioni accompagnano i cambiamenti in atto: nuovi prodotti per una nuova politica sociale dell’abitare. Buia ricorda anche che, a fronte della gravissima crisi generale dell’edilizia, la riqualificazione non ha conosciuto crisi grazie agli ecoincentivi. L’edilizia, inoltre, attiva 32 settori industriali su 36: una filiera lunghissima che ha un impatto forte sull’economia. Se si ritiene che la rigenerazione urbana sia un interesse pubblico, occorrono strumenti per operare il cambiamento rimuovendo gli ostacoli, ovvero facendo chiarezza con norme che siano uguali dovunque per quanto riguarda demolizione, smaltimento e ricostruzione: non ci stanchiamo di ribadire che la semplificazione normativa è uno stimolo per la pianificazione e quindi per le professioni svolte in trasparenza.

 

Ai comportamenti virtuosi e alla bellezza ci si abitua da piccoli, bisogna iniziare nelle scuole un’educazione alla città per un nuovo concetto di bellezza, non solo estetica ma etica. Diego Zoppi, consigliere nazionale e coordinatore del Dipartimento Politiche urbane e territoriali del CNAPPC (Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) spiega a Rinnovabili.it in cosa consiste il progetto pilota “Abitare il Paese – I bambini e i ragazzi per un progetto di futuro prossimo” che il CNAPPC ha attivato da quest’anno.

 

 

C’è una parola chiave che riassume l’idea di futuro di Zoppi: integrazione. L’economia circolare urbana, ad esempio, deve essere concepita per integrare varie attività; in questo contesto sarebbe importante il ruolo mediatore della politica, che purtroppo è molto carente. In Italia il tessuto urbano è diffuso, ovvero fatto di molti piccoli centri: perché non creare una rete che li possa integrare tra loro? I progetti volti a un’evoluzione strutturale delle città devono essere finanziati secondo criteri di coerenza e convenienza. Zoppi cita l’esempio della città di Bristol: nel 2015 si è aggiudicata il titolo di European Green Capital dopo aver investito molto nel migliorare la gestione dell’energia e creato un modello condivisibile e strutturato per l’incremento della green economy.

 

Tra le proposte dello studio Atlas, troviamo borse componibili, contenitori impilabili, compostatori domestici, eco-stazioni, cassonetti a scomparsa, sistemi pneumatici. Passare da dai rifiuti al riciclo all’economia circolare, quindi, si può: quello che serve è la volontà. Ma la politica è in grado di formulare progetti di lungo periodo a beneficio dell’interesse collettivo? È disposta a fornire riferimenti istituzionali e indicazioni centralizzate realizzabili? Immaginare non basta, senza indicazioni politiche e governance efficaci non ci sono sbocchi.

 

 

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