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Economia circolare, l’Italia ha perso il primo posto ma sul riciclo è ancora la numero uno

Il Belpaese cede il posto all'Olanda perdendo un primato quasi storico e segnando un pessimo punteggio nella transizione energetica. Ma alcuni successi rimangono tali, come quello che ci contraddistingue nella raccolta e riciclo degli oli minerali usati

economia circolare

 Presentato a Roma il 4° rapporto Circonomia

(Rinnovabili.it) – Per lungo tempo l’Italia ha vantato un primato verde davvero invidiabile: tra le grandi economie europee per capacità di utilizzare nel modo più efficiente le proprie risorse naturali. Oggi il Belpaese ha lasciato il posto all’Olanda arretrando di una posizione. A rivelarlo è il quarto Rapporto Circonomia, il Festival dell’economia circolare e della transizione ecologica promosso in collaborazione con Legambiente, Kyoto Club, Fondazione Symbola. Nella cornice capitolina, l’evento ha presentato una sintesi del report illustrando i trend in discesa (e quelli in salita) della circular economy nazionale.

Economia circolare, ottimi risultati nel riciclo dei rifiuti

L’analisi valuta ogni anno le grandi economie europee sulla base di 17 diversi indicatori che misurano l’impatto ambientale diretto – considerato come impatto pro-capite – delle attività economiche e civili su ambiente e clima (5 indicatori), l’efficienza d’uso delle risorse (6 indicatori), la capacità di risposta ai problemi ambientali (6 indicatori). Un esame che ci ha visto primeggiare per molto tempo nel ranking generale ma non quest’anno. Rispetto ai  17 indicatori l’Italia appare al primo posto solo in un caso: tasso di riciclo sul totale dei rifiuti urbani e speciali prodotti oggi all’80%. Qui doppiamo la media dell’Unione europea ferma a meno del 40% – e superiamo di più lunghezze gli altri paesi analizzati. Peccato solo che il buon risultato non si distribuisca in modo omogeneo tra le macroregioni. Il Nord appare ancora una volta più avanti del resto del Paese, e “assorbe” quanto meno nei numeri la condizione critica di grandi città – a cominciare da Roma – e di interi territori soprattutto nel Sud dove la gestione dei rifiuti urbani è in uno stato di profonda e cronica inefficienza. 

I passi indietro della transizione energetica

Decisamente più lenti i progressi negli altri indicatori, e molto male quello relativo alla transizione energetica: le rinnovabili nazionali crescono a passo di lumaca. Nel dettaglio, nel 2022 la produzione eolica si è contratta di circa l’1% su base annuale mentre la media UE è aumentata del 9%. È cresciuta quella del fotovoltaico (+10%) ma con ritmi ben inferiori agli Paesi UE (Germania +20%, Spagna e Francia +25%, Olanda +54%). Le prospettive non sono brillanti anche considerando solo la nuova capacità fotovoltaica installata: in Italia è aumentata dell’11%, la metà di quanto è cresciuta in media nell’Ue (+22%) e addirittura un quinto di quanto è cresciuta in Olanda.

“Per un periodo l’Italia è stata più brava degli altri a fare tanto con poco”, ha spiegato vicepresidente del Kyoto Club, Francesco Ferrante. Da un po’ di tempo ci siamo fermati. Soprattutto sulle energie. Sulle fonti rinnovabili siamo fermi da una decina di anni mentre gli altri paesi corrono. Per fortuna c’è un primato che non ci toglie nessun: quello del riciclo dei rifiuti […] Ma dobbiamo capire che economia circolare non è soltanto il riciclo dei rifiuti ma è più in generale un uso razionale di materie e di energie in maniera tale da fare un’economia che valga per tutti”.

 “Più del “sorpasso” olandese, a colpire è il brusco rallentamento del cammino ‘green’ italiano negli ultimi anni”, ha sottolineato il direttore scientifico del Festival Roberto Della Seta. “Talvolta il peggioramento non è solo relativo ma assoluto: consumiamo più materia e produciamo più rifiuti sia per abitante che per unità di Pil (mentre i dati medi europei segnano una riduzione), produciamo più emissioni climalteranti pro-capite (dato medio europeo: -7 peggio dell’Europa nel consumo di energia fossile (noi stabili, in Europa -5%) e nella crescita delle energie rinnovabili: +7% sul totale dei consumi contro il +14% dell’Europa, +2,2% sulla produzione elettrica contro il +15,2% europeo”.

Un’eccellenza chiamata CONOU

Non mancano tuttavia i risultati di cui essere orgogliosi. Perché il Belpaese non è solo primo per il tasso di riciclo sul totale dei rifiuti prodotti, ma vanta anche prestazioni brillanti anche in altri indicatori di “circolarità”, come il tasso di utilizzo di materie prime seconde.  

“Il segreto del modello italiano, seppur adesso abbiamo qualche segnale di minor velocità, è dovuto al modello organizzativo dei consorzi”, ha commentato Riccardo Piunti, presidente del Consorzio nazionale degli oli minerali usati (CONOU). “Essendo i consorzi senza fini di lucro, non intervengono nella transazione economica ma nel funzionamento del sistema, ed è questo il segreto della nostra circolarità: oggi si gestisce la qualità, si massimizza la rigenerazione, si lavora con operatori seri e qualificati. Quando si arretra? Quando all’aumentare del numero e tipologie di rifiuti e all’evolversi delle tecnologie non si hanno nuovi impianti”. Un problema che non ha mai sfiorato Conou, realtà che ormai da tempo raccoglie pressoché la totalità dell’olio usato raccoglibile e ne rigenera in il 98% in nuove basi lubrificanti. Un valore unico in tutto il Vecchi Continente. Basti pensare che in Europa il tasso medio di rigenerazione è inferiore ai due terzi.  

“Noi di Conou siamo bravi ma anche fortunati”, ha continuato Piunti. “I nostri impianti di rigenerazione, nati negli anni 60, hanno avuto modo di evolversi e aggiornarsi. E oggi offrono dei lubrificanti con la stessa qualità dei lubrificanti vergini, ma sono adeguati e sufficienti per trattare tutto l’olio minerale usato che produciamo”.Questo modello porta con sé indubbi benefici sia ambientali che economici. Nel solo 2022, per esempio, le nostre attività hanno evitato l’immissione in atmosfera di 64 mila tonnellate di CO2 e sono stati circa 7,5 milioni i giga joule di combustibili fossili consumati in meno rispetto al modello di economia lineare, con un risparmio di circa 130 milioni di euro sulla bolletta petrolifera per importazioni di greggio evitate.”