La scienza impegnata nello sviluppo delle bioplastiche sta facendo passi da gigante
(Rinnovabili.it) – Sono rimaste nel limbo per diverso tempo. Forse in molti avevano smesso di credere in un loro sviluppo su scala industriale. Ma le bioplastiche, specialmente quelle biodegradabili e compostabili, nel 2023 sono tornate al centro della ricerca scientifica. Ricercatori da tutto il mondo hanno testato con successo differenti materiali, riuscendo a ottenere risultati incoraggianti per il prossimo futuro. La domanda che resta aperta è: riuscirà il settore a costituire una reale alternativa alle plastiche convenzionali? La capacità di riciclo è ben sviluppata, anche in Italia. Ora serve che le imprese credano nella produzione e investano in questo campo dell’economia circolare. Alcune innovazioni di quest’anno possono fornire una panoramica delle opportunità.
Bioplastiche dalla scorza degli agrumi
Dagli scarti della lavorazione della frutta, sette ricercatori di università cinesi e australiane hanno sviluppato una bioplastica riciclabile e biodegradabile. Il loro processo non produce rifiuti tossici e utilizza tutta la biomassa che entra nel circuito. La bioplastica prodotta può avere diverse applicazioni: ad esempio nell’industria alimentare.
Nel loro esperimento, il team ha separato cellulosa, pectina e lignina dalla scorza di agrumi. Poi, ha ricombinato pectina e cellulosa per formare un impasto per la fusione in film. I film pectocellulosici ottenuti possedevano eccellenti proprietà meccaniche, biodegradabilità, riciclabilità e proprietà antiossidanti. Inoltre, si degradavano con facilità nell’ambiente. Ma sarebbe quasi un peccato. Questi materiali, infatti, possono essere rilavorati meccanicamente in acqua per produrre un altro impasto liquido pectina-cellulosa da utilizzare ancora nella produzione di bioplastiche.
Cannucce in bioplastica ancora più resistenti
Sotto attacco da diversi anni, le cannucce usa e getta sono ritenute tra i grandi responsabili della diffusione dell’inquinamento da plastica. Un recente lavoro dell’American Chemical Society Omega ha esplorato la possibilità di realizzarle con una bioplastica composta da sostanze naturali come l’amido o la lignina. Visto lo scarso successo finora delle alternative ecologiche alle cannucce in plastica, i chimici dell’ACS Omega hanno cercato di mantenere le caratteristiche delle “avversarie”. Il loro esperimento ha prodotto un materiale più resistente della plastica tradizionale, ma anche biodegradabile. Le nuove cannucce sono state ottenute mischiando lignina e amido di patate o alcol polivinilico, con aggiunta di acido citrico. Da queste sostanze viene generato un liquame disteso e poi arrotolato, per formare un tubicino. A questo punto la bioplastica automaticamente “incolla” i lembi in maniera naturale, e la chiusura viene poi saldata tramite un trattamento termico.
Dalla spirulina una bioplastica che si degrada nell’organico
Può esistere una bioplastica compostabile che si degrada con la velocità di una buccia di banana? La risposta è sì, e a darla è un team guidato da ricercatori dell’Università di Washington. Il gruppo ha sviluppato il biomateriale partendo da cellule prelevate dalla polvere di cianobatteri blu-verdi, cioè dalla spirulina. Applicando calore e pressione ha dato varie forme alla bioplastica, in modo molto simile alle lavorazioni usate per la plastica convenzionale. Anche in questo caso, le proprietà meccaniche sono paragonabili alle plastiche monouso derivate dal petrolio. Non c’è nemmeno bisogno di rinnovare gli impianti: la bioplastica da spirulina si può produrre sulle linee già utilizzate.
La soluzione dei batteri per una bioplastica infinita
Il ruolo dei batteri è sempre più centrale per la produzione di biomateriali. Ecco perché ci sta lavorando intensamente anche il Lawrence Berkeley National Laboratory in California. Gli scienziati hanno trovato dei batteri in grado di creare materiali molto simili ai monomeri che vengono impiegati per la produzione di plastica. Così li hanno ingegnerizzati per fargli produrre una bioplastica denominata poli-diketoenamina, abbreviata con PDK. Hanno lavorato per quattro anni, ma di recente hanno raggiunto un risultato. A partire dal lattone dell’acido triacetico, detto bioTAL, hanno prodotto un PDK con circa l’80% di contenuto biologico. La cosa interessante, è che questa bioplastica si può riciclare all’infinito.
La bioplastica è più forte senza idrogeni alfa
I chimici della Colorado State University hanno invece trovato un modo per proteggere il tallone d’Achille della bioplastica: la sensibilità al calore. Hanno apportato modifiche fondamentali alle strutture dei poliidrossialcanoati (PHA), polimeri sintetizzati dai batteri.
Normalmente, la fragilità dei materiali ricavati li rende difficili da riciclare utilizzando il calore. Ma si può rimediare intervenendo a livello chimico. Gli scienziati hanno sostituito gli idrogeni alfa – particolarmente reattivi e responsabili della degradazione termica – con gruppi metilici più robusti. Questa modifica strutturale ha migliorato la stabilità termica dei PHA, permettendo di creare una plastica che può essere lavorata allo stato fuso senza andare in decomposizione.