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Buone notizie sulla biodegradabilità delle bioplastiche

biodegradabilità delle bioplastiche
Foto di Tim Mossholder su Unsplash

Il test dell’Università di Portsmouth sulla biodegradabilità delle bioplastiche fa ben sperare

(Rinnovabili.it) – Il tema della biodegradabilità delle bioplastiche, quando non gestite correttamente, è discusso, ma una nuova ricerca dell’Università di Portsmouth e del Flanders Marine Institute apre una finestra di ottimismo sul settore. Gli scienziati hanno infatti scoperto un nuovo materiale plastico a base vegetale che rilascia 9 volte meno microplastiche rispetto alla plastica convenzionale quando esposto alla luce solare e all’acqua di mare.

I risultati di questa ricerca offrono una nuova prospettiva sul futuro delle plastiche biodegradabili e il loro impatto sugli ecosistemi marini. Il materiale sviluppato in Inghilterra ha infatti dimostrato una resistenza eccezionale quando esposto a condizioni estreme, come luce UV intensa e acqua di mare, per un periodo equivalente a 24 mesi di esposizione al sole nell’Europa centrale. Per questa sua capacità di resistere agli agenti atmosferici, ha rilasciato meno microplastiche del corrispettivo in plastica convenzionale.

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L’analisi ha evidenziato infatti che la dimensione e la forma delle microplastiche rilasciate dipendevano dal tipo di materiale. In particolare, gli scienziati hanno confrontato il polipropilene industriale “classico” e l’acido polilattico (PLA), un polimero biodegradabile. La plastica convenzionale ha prodotto particelle più piccole e meno simili a fibre rispetto al polimero a base vegetale, suggerendo che le caratteristiche dei materiali possono influenzare l’entità dell’inquinamento da microplastiche.

Sebbene il PLA abbia dimostrato di rilasciare significativamente meno microplastiche rispetto al polipropilene, i ricercatori avvertono che il problema persiste e richiede attenzione. “Il nostro lavoro indica che anche se le plastiche a base biologica possono avere un rilascio più lento di particelle sotto radiazioni UV rispetto ai tipi di polimeri convenzionali, ma hanno ancora il potenziale per agire come fonte di microplastiche nell’ambiente marino, con particelle disponibili per il biota all’interno di frazioni di dimensioni ingeribili”.

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