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Creato un biopoliestere simile al PET dai rifiuti agricoli

biopoliestere
La nuova bioplastica del EPFL. Credits: Alain Herzog (EPFL)

Un biopoliestere nato dall’emicellulosa

(Rinnovabili.it) – Può essere stampato o lavorato come la plastica tradizionale. Resiste alla trazione e al calore, offrendo una buona barriera ai gas. Ma soprattutto è biodegradabile e riciclabile. È il biopoliestere creato dagli scienziati dell’École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), in Svizzera.

Produrre plastica “bio” in grado di competere con quelle di origine petrolifera non è compito facile. Per trovare un’applicazione commerciale, non basta che l’alternativa verde fornisca tutte le caratteristiche tecniche necessarie all’uso finale. Deve anche poter essere prodotta facilmente con le tecnologie esistenti e a bassi costi. Dando la possibilità di chiudere il cerchio, ossia permettendo ai suoi rifiuti di divenire nuovamente materie prime.

Obiettivi impegnativi su cui si è cimentato il nuovo lavoro dell’EPFL. I ricercatori, guidati dal professor Jeremy Luterbacher, hanno creato a partire da zuccheri ligneocellulosici una plastica simile al PET, qualitativamente interessante e rispettosa dell’ambiente. “Essenzialmente ‘cuociamo’ il legno o altro materiale vegetale non commestibile, come i rifiuti agricoli, in prodotti chimici economici per produrre un precursore plastico in un solo passaggio”, afferma Luterbacher. “Mantenendo intatta la struttura dello zucchero all’interno della architettura molecolare finale della plastica, la chimica è molto più semplice delle alternative attuali che comportano molte modifiche”.

Gli scienziati hanno impiegato l’acido gliossilico per “attaccare gruppi appiccicosi” su entrambi i lati delle molecole di zucchero dell’emicellulosa. Si tratta del polisaccaride complesso che insieme alla cellulosa e alla lignina costituisce le pareti cellulari delle piante. Il processo consente alle molecole di comportarsi come precursori della plastica. “Con questa semplice tecnica possiamo trasformare in plastica fino al 25% del peso dei rifiuti agricoli, o il 95% dello zucchero purificato”, spiega Lorenz Manker, autore principale dello studio. Il biopoliestere ottenibile ha buone proprietà meccaniche, fisiche e chimiche che lo rendono utilizzabile in applicazioni che vanno dall’imballaggio  alimentare e al tessile. Non solo. “Sebbene siano ancora necessari studi di biodegradazione standardizzati, la natura intrinsecamente degradabile di questi materiali ha facilitato il loro riciclaggio chimico tramite metanolisi a 64 °C e l’eventuale depolimerizzazione in acqua a temperatura ambiente”.

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