Rinnovabili • bioplastiche dalla frutta

Come produrre bioplastiche dagli agrumi in modo ecologico ed economico

Un gruppo di ricercatori cinesi e australiani ha sperimentato un processo di produzione di bioplastiche dagli scarti della frutta che garantisce circolarità ed efficienza

bioplastiche dagli agrumi
Via depositphotos.com

La filiera delle bioplastiche può regalare una seconda vita agli scarti dell’industria alimentare

(Rinnovabili.it) – Realizzare bioplastiche dagli scarti della lavorazione della frutta è un po’ più facile da quando sette ricercatori di università cinesi e australiane hanno sviluppato un procedimento che non genera rifiuti tossici e utilizza tutta la biomassa che entra nel circuito.

In un lavoro pubblicato sul Chemical Engineering Journal, raccontano come hanno realizzato bioplastiche ad alte prestazioni dalle scorze di agrumi. “Il nostro approccio si basava sulla separazione di cellulosa, pectina e lignina dalla scorza di agrumi – spiegano gli autori – In secondo luogo, abbiamo ricombinato pectina e cellulosa per formare un impasto per la fusione in film. I film pectocellulosici ottenuti possedevano eccellenti proprietà meccaniche, biodegradabilità, riciclabilità e proprietà antiossidanti”. 

Il loro approccio, ribadiscono i ricercatori, utilizza completamente la buccia della frutta senza generare rifiuti tossici ed è sia un processo economico che efficiente dal punto di vista energetico. Si può applicare anche alla produzione di bioplastiche che provengono da altre biomasse ricche di pectina e cellulosa, come scorza di anguria, ananas e melone. Sia dal punto di vista ecologico che economico, queste bioplastiche potrebbero sostituire le plastiche di derivazione petrolchimica in molti campi.

L’industria alimentare, ad esempio, consuma ogni anno un’enorme quantità di plastica sintetica, sia per i teli agricoli che per imballaggi alimentari. Molte delle materie plastiche utilizzate nell’industria alimentare (polietilene, polipropilene, polistirene, polietilene tereftalato e cloruro di polivinile) non sono riciclabili o richiedono processi complicati, quindi finiscono per alimentare le discariche. La loro lentissima degradazione, che impiega centinaia, se non migliaia di anni, origina microplastiche e sostanze chimiche tossiche molto pericolose per l’uomo e le altre forme viventi.La bioplastica pectocellulosica dei ricercatori cinesi e australiani, invece, si degrada completamente nell’ambiente naturale, mostrando ottime proprietà circolari. Ma sarebbe quasi un peccato, dal momento che questi materiali possono essere rilavorati meccanicamente in acqua e produrre un altro impasto liquido pectina-cellulosa da utilizzare ancora nella produzione di bioplastiche.