Una ricerca statunitense ha prodotto una speciale bioplastica dagli scarti delle biomasse vegetali che si degrada nei suoi monomeri quando illuminata da raggi UV-B
(Rinnovabili.it) – Dagli scarti vegetali è possibile produrre una bioplastica resistente, duratura e teoricamente riciclabile all’infinito. Il segreto? Impiegare nella sua realizzazione “mattoncini” a base di vanillina, la celebre molecola aromatica che caratterizza la vaniglia. Succede alla Bowling Green State University, dove un gruppo di scienziati guidato dal dottor Jayaraman Sivaguru, cercava un modo per chiudere definitivamente il cerchio delle bioplastiche.
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Questi polimeri offrono un grande vantaggio ambientale dal lato produttivo, impiegando risorse naturali alternative al petrolio. Di contro, tuttavia, hanno ancora alcune sfide da risolvere: devono raggiungere le stesse qualità delle plastiche fossili e devono poter essere riciclate in un processo chiuso che non alteri il valore iniziale.
Il team di ricercatori, in collaborazione con i colleghi della North Dakota State University di Fargo, ha trovato una soluzione al doppio problema a partire dai residui di lavorazione della cellulosa. Il lavoro si è focalizzato su materie plastiche a base biologica nelle quali il processo di degradazione potesse essere innescato dall’irraggiamento luminoso a particolari lunghezze d’onda. Nel dettaglio, gli scienziati hanno creato polimeri reticolati composti da blocchi (monomeri) a base di vanillina sintetica. In questo caso, la molecola aromatica è stata ottenuta in laboratorio a partire da rifiuti ligneo cellulosici.
La ricetta scelta dal gruppo ha una particolarità interessante: quando la bioplastica assorbe la luce a 300 nm (UV-B) entra in uno stato eccitato, innescando la sua stessa biodegradazione. E poiché, normalmente, questa lunghezza d’onda è quasi tutta assorbita dall’atmosfera terrestre, il prodotto finale non teme un degrado prematuro alla luce solare. Il riciclo può essere attivato on demand semplicemente irradiandolo con UV-B. I test svolti dai ricercatori hanno permesso di recuperare il 60% dei monomeri della bioplastica, che potrebbero quindi essere nuovamente polimerizzati senza perdita di qualità. La ricerca è stata pubblicata su Angewandte Chemie (testo in inglese).