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Dalle alpi i microbi che rivoluzionano il riciclo della plastica

Utilizzare i microrganismi per il riciclo della plastica è sempre stato un problema, per le alte temperature necessarie. Ora non più

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Foto di Damian Denis su Unsplash

La scoperta apre al riciclo della plastica a basse emissioni

(Rinnovabili.it) – L’utilizzo dei microrganismi nel riciclo della plastica sta diventando un campo di ricerca sempre più importante. Nel tempo sono stati scoperti una serie di questi minuscoli esseri con la capacità di metabolizzare i polimeri, ma quando si tenta l’applicazione su scala industriale, il processo richiede temperature superiori a 30 °C. Scaldare gli spazi dove i microbi si mettono al lavoro richiede significa alti costi ed emissioni di gas serra.

Sono questi i motivi principali che rendono ancora faticosa l’applicazione industriale di un metodo promettente. Tuttavia, qualcosa potrebbe cambiare. Gli scienziati dell’Istituto federale svizzero WSL hanno infatti trovato microbi i cui enzimi lavorano a temperature più basse. Li hanno cercati ad alta quota, sulle Alpi e nelle regioni polari e hanno visto che sono capaci di degradare quasi tutti i tipi di plastica. Una qualità che gli deriva dall’evoluzione della capacità di digerire i polimeri vegetali. I risultati delle loro ricerche sono pubblicati su Frontiers in Microbiology.

In pratica, hanno campionato 19 ceppi di batteri e 15 di funghi che crescono su plastica fuori terra o sepolta e mantenuta nel terreno per un anno. I siti del campionamento erano Groenlandia, Isole Svalbard e Alpi svizzere. Gli scienziati hanno isolato ciascun ceppo e fatto crescere i microbi in laboratorio, al buio, con una temperatura di 15 °C.

Quasi tutte le plastiche degradate dai microbi

Hanno quindi utilizzato una serie di test per esaminare la capacità di ogni ceppo batterico di digerire campioni sterili di polietilene non biodegradabile (PE) e poliestere-poliuretano biodegradabile (PUR), così come due miscele biodegradabili disponibili in commercio di polibutilene adipato tereftalato (PBAT) e acido polilattico (PLA). Nessuno dei ceppi è stato in grado di digerire il PE, anche dopo 126 giorni di incubazione su queste plastiche. Ma 19 ceppi, inclusi 11 funghi e 8 batteri, sono stati in grado di digerire il PUR a 15°C, mentre 14 funghi e 3 batteri sono stati in grado di digerire le miscele plastiche di PBAT e PLA. La risonanza magnetica nucleare (NMR) e un test basato sulla fluorescenza hanno confermato che questi ceppi erano in grado di sminuzzare i polimeri PBAT e PLA in molecole più piccole.

I risultati migliori li hanno forniti due specie fungine non caratterizzate appartenenti al genere Neodevriesia e Lachnellula: queste sono state in grado di digerire tutte le plastiche testate tranne il PE. Il terreno di coltura ha avuto quasi sempre un effetto determinante sulla capacità di gestire i polimeri, con ogni ceppo batterico che ha reagito diversamente in ciascuno dei quattro terreni utilizzati per il test. Il prossimo passo sarà identificare gli enzimi di degradazione della plastica prodotti dai ceppi microbici e ottimizzare il processo per ottenere grandi quantità di proteine.

Intanto però, una breccia è aperta, e l’applicazione industriale del riciclo della plastica con i microbi non è più una chimera.