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Circular Economy Report 2021, l’economia circolare conviene

Secondo il Circular Economy Report 2021 l’adozione di pratiche circolari fa bene all’ambiente ma anche all’industria. Le aziende virtuose superano quelle che non hanno adottato né adotteranno pratiche di economia circolare. Ma una cosa va chiarita: non tutto ciò che è sostenibile è circolare, ma tutto ciò che è circolare ha un impatto positivo sulla sostenibilità

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di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Energy&Strategy GroupSchool of Management Politecnico di Milano ha presentato il Circular Economy Report 2021. I dati di questa seconda edizione sembrano confermare che l’adozione di pratiche circolari farebbe bene all’ambiente, ovviamente, ma anche all’industria, per la quale si genererebbero ogni anno 100 miliardi di euro l’anno da qui al 2030: in concreto, quasi il 4,5% del Pil del 2019.

I dati del Circular Economy Report 2021

Eppure, come si evince dal Circular Economy Report 2021, meno si 1 impresa su 2 ha intrapreso la strada dell’economia circolare e anche per chi si è incamminato il traguardo è ancora lontano. Chi ha avviato la transizione verso l’economia circolare la considera ancora in fase iniziale: dovendo assegnare un punteggio da 1 a 5, la valutazione è pari a 2,02.

Nonostante questo, c’è un dato positivo: le aziende virtuose sono il 44% e fortunatamente superano gli irriducibili (34%) che non solo non hanno adottato pratiche di economia circolare ma non intendono adottarle nemmeno in futuro.

Il Rapporto, inoltre, approfondisce alcuni temi specifici come quelli normativi e tecnici, dai metodi di misurazione dell’economia circolare al ruolo delle piattaforme digitali negli ecosistemi di business.

L’indagine del Circular Economy Report 2021 riporta i dati relativi a sei macrosettori chiave per l’economia italiana. Il 60% del campione nel settore delle costruzioni ha introdotto almeno una pratica di economia circolare, food&beverage il 50%, automotive il 43%, impiantistica il 41%, elettronica di consumo il 36%, mobili e arredo il 23%.

Ripensare l’intero ecosistema di filiera

Davide Chiaroni, direttore dell’Osservatorio sulla Circular Economy di E&S Group chiarisce subito alcuni punti nodali: «L’economia circolare è altra cosa rispetto allo sviluppo sostenibile e alla rispondenza ai criteri ESG (Environmental, Social, Governance, ovvero gli indicatori che permettono di analizzare l’attività non solo dal punto di vista economico ma anche ambientale, sociale e di governance), anche se spesso li si confonde.

È un approccio che prevede la rigenerazione del capitale naturale, non la “semplice” limitazione del danno ambientale: si minimizzano le risorse usate, ma senza diminuire la crescita economica e sociale, il progresso tecnico e l’innovazione.

È una prospettiva complessa perché richiede un ripensamento dell’intero ecosistema di filiera, ma rappresenta una grande opportunità per realizzare nuovi investimenti, perché include una serie di comportamenti che limitano i rischi: di mercato, operativi, di business e legali.

Per sintetizzare, non tutto ciò che è sostenibile è circolare, ma tutto ciò che è circolare ha un impatto positivo sulla sostenibilità».

L’economia circolare non riguarda solo i rifiuti

L’economia circolare non si limita al solo ciclo dei rifiuti, come si è portati a pensare. Precisa Chiaroni: «Nel PNRR purtroppo tutto si riduce al tema del riciclo, e non è certo la direzione verso la quale auspicavamo si muovesse».

Il PNRR, infatti, destina all’economia circolare 5,27 miliardi di euro di investimenti (escludendo i 2,8 destinati alla sostenibilità della filiera alimentare, diventano 2,47) per realizzare nuovi impianti di trattamento dei rifiuti e ammodernare quelli esistenti (1,5 miliardi).

Il tutto per raggiungere gli obiettivi previsti dalla normativa europea e nazionale. Invece «è il momento di affrontare la sfida con una più decisa volontà di azione da parte delle imprese e dei policy maker».

L’aggiornamento della Strategia nazionale per l’economia circolare, previsto per giugno 2022, dovrebbe inserire concetti come ecodesign, ecoprodotti, blue economy, bioeconomia, materie critiche. Ma, a detta di Chiaroni, ancora una volta «sono state le imprese partner del Rapporto a scendere in campo affinché l’economia circolare rappresenti la soluzione per contemperare transizione energetica, sostenibilità di prodotti, processi e servizi, sviluppo economico e sociale».

Poca comunicazione

Tra le pratiche di economia circolare più adottate, il Circular Economy Report 2021 indica Design for Environment (35%), Design for Recycle (28%), Take Back System (27%) e Design for Remanufacturing/Reuse (22%; quelle meno diffuse sono Design for Disassembly, Design out waste e Product Service System.

Questo significa che le aziende si concentrano soprattutto sulla progettazione dei prodotti per ridurre l’impatto ambientale e riutilizzare i materiali all’interno dei propri sistemi produttivi.

Dal Rapporto emerge inoltre che solo il 23% degli intervistati partecipa a un ecosistema di simbiosi industriale, ovvero interagisce con altri stabilimenti (anche di altre filiere) per massimizzare il riutilizzo di risorse considerate rifiuti. Chi lo fa, però, risparmia materiali di scarto nell’83% dei casi e CO2 prodotta (50%).

Adottare pratiche di economia circolare è un impegno, e giustamente il comportamento virtuoso va comunicato, ma solo il 29% delle aziende fa campagne di comunicazione o promozione delle proprie attività e altrettante stanno considerando di farle in futuro.

I benefici superano gli svantaggi

Perché adottare pratiche di economia circolare? L’analisi complessiva del Circular Economy Report 2021 rileva che tra il gruppo dei favorevoli e quello dei contrari esiste una differenza nella crescita del fatturato dell’1%. Tuttavia, le imprese che hanno adottato pratiche di economia circolare hanno riscontrato un beneficio anche economico, seppure a fronte di alti costi di investimento.

Tra i benefici principali le aziende indicano il tasso di innovazione, il rafforzamento dell’immagine del brand e la riduzione dell’uso di risorse; non sono ancora apprezzabili i benefici che derivano dalla riduzione dei costi di produzione.

Le barriere principali per gli irriducibili sono l’incertezza normativa, gli elevati investimenti e la relativa variabilità dei flussi di risorse, mentre le soluzioni tecnologiche sono ritenute adeguate, benché costose.

Infine, il Circular Economy Report 2021 attribuisce alle piattaforme digitali un ruolo di primo piano nel favorire la transizione verso l’economia circolare «per massimizzare lo scambio di domanda e offerta di prodotti, materiali o risorse, e ridurne il consumo nei cicli produttivi.

L’utilizzo di queste piattaforme può aiutare in modo concreto a estendere il ciclo di vita dei prodotti e delle risorse, ridurre l’utilizzo delle materie prime e la produzione di rifiuti, permettere risparmi economici e sviluppare la consapevolezza degli utenti, assolvendo a tre specifiche funzioni: scambio, condivisione, raccolta e condivisione».