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Bulgari, l’economia circolare è una realtà

Per la prima volta l’economia circolare è considerata un modello economico. Ma soprattutto è un modello olistico che copre il mondo del lavoro, la cittadinanza, la pubblica amministrazione, il mondo della ricerca. Bulgari, un grande marchio della gioielleria italiana, già da anni ha preso impegni concreti sull’economia circolare. Ne parliamo con Eleonora Rizzuto, direttore Sviluppo Sostenibile di Bulgari e LVMH Italia e vicepresidente dell’associazione Circular EvolutionTM

di Isabella Ceccarini

Dottoressa Rizzuto, com’è nata la partnership di Bulgari con Enel X, CESI e ICMQ nell’associazione Circular EvolutionTM?

Questa partnership è nata dalle impostazioni che questi leader, ognuno nel proprio settore, avevano assunto già da anni nel campo dell’economia circolare.

Ognuno ha implementato dei programmi per le proprie specificità, ma c’è stato il desiderio – diverso rispetto a come siamo abituati nella compagine imprenditoriale – di mettere a disposizione di tutti gli stakeholder quello che i tre soci fondatori avevano pensato: un modello di certificazione accreditato da Accredia, quindi con un rapporto accreditato e di fiducia sugli indici di circolarità.

Oggi questi indici sono inesistenti in Italia e nel mondo: non abbiamo un indice di circolarità che prenda in considerazione contestualmente i processi da prodotto e i segmenti industriali.

Circular EvolutionTM segue un disegno preciso: superare le logiche delle singole realtà e mettersi insieme per un obiettivo più alto in un’ottica di circolarità.

Il programma Circular CertificationTM misura l’economia circolare. Misurare è il punto di partenza per migliorare e diventare più sostenibili?

Per Bulgari è una bussola, sia per chi già pensa di adoperare modelli circolari nelle varie imprese, sia per chi vi si affaccia per la prima volta.

Il problema che abbiamo intravisto in questo progetto è che gran parte delle realtà produttive non hanno ancora chiaro di cosa si parla quando si discute di modello economico circolare.

La misurabilità è stata subito considerata come il modo più pragmatico e più certo per poter iniziare da un punto preciso; non abbiamo trovato altri esempi o altre possibilità già sperimentate da altri, perché tutte conducevano a una situazione un po’ aleatoria.

Faccio l’esempio del life cycle assessment di un prodotto: il modello è fatto bene, ma ogni impresa può decidere da cosa partire e quali sono gli indicatori di performance da mettere in campo (che possono essere ambiziosi o no, ma l’azienda ha comunque il bollino).

Volevamo superare questo, indicare una robusta serie di certificazioni e partire da lì per chiunque lo voglia fare, anche la pubblica amministrazione.

L’economia circolare riesce a coniugare competitività, innovazione e sostenibilità? Perché è una carta vincente per un’azienda?

Perché per la prima volta si utilizzano dei sistemi di processo industriale che vanno al di là dei buoni propositi.

Per la prima volta è un modello economico, quindi è un’impostazione di visione produttiva nonché dell’intera rete di collaboratori e collaboratrici, coloro che fanno la storia di un’impresa.

Per la prima volta è un modello olistico che copre il mondo del lavoro, la cittadinanza, la pubblica amministrazione, il mondo della ricerca.

Ha citato giustamente l’innovazione, una parte fondamentale che mancava alla sostenibilità, che è nata per trovare nuove soluzioni a una situazione esistente.

La domanda era “è sostenibile sì o no? Se no, come possiamo fare?”. Ma venti anni fa, quando abbiamo cominciato a capire quali sono gli strumenti che dava la ricerca, non ci si interrogava.

Faccio l’esempio della tracciabilità dei prodotti. Si può fare solo se mettiamo in campo la ricerca e l’innovazione, ad esempio nel campo dell’intelligenza artificiale, un campo ancora da esplorare ma che aiuta anche nella certificazione.

Ad esempio, se devo garantire che il litio che utilizzo dalla miniera al prodotto finale è circolare, come faccio a dimostrarlo? Attraverso dei sistemi che vengono dal mondo della ricerca e dell’innovazione.

Quindi si chiude il cerchio, perché tutti i tipi di aziende possono entrare a far parte dell’economia circolare. Nell’immaginario collettivo sembra singolare che un’azienda del lusso come Bulgari si preoccupi dell’economia circolare, che invece è uno dei punti cardine dell’azienda.

È sicuramente uno dei punti cardine, ma le dico anche un altro aspetto che riguarda la parte più industriale.

Bulgari ha adottato la plastic free policy, usa oro riciclato, controlla le filiere etiche, promuove unambiente di lavoro basato su equità, multiculturalità ed empowerment femminile, si impegna sui temi della salute e dell’istruzione.

Ma soprattutto l’impegno di Bulgari può essere una cassa di risonanza che può ispirare molte altre aziende.

Faccio l’esempio dell’Alleanza per l’Economia Circolare che abbiamo contribuito a fondare nel 2017 insieme a Enel e Intesa.

L’Alleanza per l’Economia Circolare è un tassello, aiuta alla realizzazione di un modello. Adesso conta quasi 20 associati, con l’obiettivo di guidare un cambiamento coordinato, portare avanti una vera circolarità e appoggiare quella parte del Made in Italy che si vuole impostare come modello economico.