Rinnovabili

Bioraffineria, dagli oli vegetali di scarto il nuovo petrolio

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La Green Refinery di Eni a Porto Marghera (Ve). Credit: Eni– (CC BY-NC 2.0)

A Gela tutti gli impianti del petrolchimico realizzato a partire dal 1962 sono stati fermati: per la riconversione della raffineria sono stati spesi – a settembre 2019 – 294 milioni di euro, a cui si aggiungono ulteriori 73 milioni di investimento previsti per realizzare ulteriori attività, tra cui l’impianto per il pre-trattamento delle biomasse, che verrà completato entro il terzo trimestre 2020 e consentirà di alimentare la bioraffineria interamente con materie prime di seconda generazione, composte da scarti, oli vegetali grezzi e materie advanced. La seconda bioraffineria Eni, dopo la prima realizzata a Porto Marghera, Venezia, utilizza tecnologie d’avanguardia per produrre biocarburanti di alta qualità anche  da materie prime di scarto quali oli vegetali esausti e di frittura, grassi animali, e altri sottoprodotti di scarto.  Il processo di funzionamento della bioraffineria garantisce una drastica riduzione – superiore al 70% rispetto al ciclo produttivo tradizionale – delle emissioni di inquinanti come ossidi di azoto (NOx), ossidi di zolfo (SOx), monossido di carbonio (CO) e polveri.

 

Parola d’ordine: riconversione

Le attività di riconversione a Gela sono state pianificate dall’azienda  fondata da Enrico Mattei con la firma nel novembre 2014 di un Protocollo d’Intesa  che comprende un programma di rilancio economico e di riqualificazione ambientale del territorio. I lavori di adattamento all’impianto hanno avuto inizio nell’aprile 2016 e sono stati completati dopo più di 3 mila ore di lavoro di personale Eni e imprese terze. In particolare, sono state modificate le due unità di desolforazione ed è stato costruito l’impianto  “Steam Reforming”, ovvero la produzione di syngas (miscela di H2 e CO) a partire da idrocarburi e vapore acqueo. Parte delle attività in stabilimento saranno alimentate da un parco fotovoltaico da 2,5 MW di capacità complessiva.

A Venezia siamo stati i primi al mondo a convertire una raffineria tradizionale in bioraffineria e adesso inauguriamo la seconda, ancora più innovativa: un nuovo esemplare di eccellenza italiana”, ha commentato Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni. “Si tratta di un grande passo avanti nel nostro percorso di decarbonizzazione – prosegue Descalzi – un cammino che come Eni abbiamo intrapreso da tempo ma al quale negli ultimi cinque anni abbiamo impresso una fortissima accelerazione”.

L’esempio di Gela è un interessante case study per quanto riguarda il recupero di siti ed attività industriali dismessi, e la conseguente riconversione verso metodi di produzione più sostenibili sia dal punto di vista economico che ambientale.

 

Dalla Sicilia al Veneto, il filo rosso è la circolarità

A meno di mille chilometri in linea d’aria, a Venezia Porto Marghera un altro stabilimento riconfigurato da Eni che funziona a pieno regime dal 2014. Da lì passano 360.000 tonnellate di oli vegetali all’anno, di cui il 20% è olio alimentare esausto (proveniente da settore domestico, industriale e della ristorazione), mentre il resto è vegetale raffinato e certificato anche per la sostenibilità. La bioraffineria Eni di Venezia, prima al mondo a essere stata riconvertita da raffineria convenzionale, lavora marginalmente anche con cariche alternative quali i residui della lavorazione dell’olio di karitè e Martrilox, un derivato dalla fabbricazione della plastica biodegradabile. Entro il 2021 Eni prevede un ulteriore upgrading dell’impianto, che potenzierà la lavorazione e aumenterà la quota di carico degli scarti da produzione alimentare (in particolare grassi animali, oli di frittura, e sottoprodotti dell’olio di palma).

 

I vantaggi della filiera produttiva

Ai benefici ambientali ed economici indiretti dello sfruttamento di oli esausti di provenienza domestica ed industriale dati dalla circolarità del processo, si sommano quelli ambientali diretti. Ogni famiglia italiana infatti produce ogni anno mediamente 3 litri di olio da frittura, cottura o conservazione di cibo che di norma vengono smaltiti in maniera scorretta (prevalentemente attraverso gli scarichi fognari). Così facendo si genera un pericoloso contributo – di cui vieppiù si ha poca coscienza – all’inquinamento delle falde acquifere che danneggia gravemente flora e fauna del territorio, oltre che i depuratori cittadini. Il riciclo è senza dubbio ad oggi il più conveniente impiego degli oli alimentari a fine vita: una tonnellata può arrivare a valere tra i 180 e i 400 euro.

Il caso delle bioraffinerie di Gela e Venezia va in questa direzione, con un netto abbattimento delle emissioni del ciclo produttivo dei carburanti e al contempo con la valorizzazione dei rifiuti in una dimensione di economia circolare sempre più auspicabile.

 

In collaborazione con Eni
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