Rinnovabili • bioeconomia

Bioeconomia italiana, dà lavoro a due milioni di persone

Quando si tratta di usare in maniera sostenibile le risorse biologiche per la crescita economica, l’Italia si contraddistingue a livello europeo: terza in classifica dopo Germania e Francia, grazie a un mercato che vale 345 miliardi di euro

bioeconomia
Credits: gamagapix da Pixabay

Pubblicato il report “La Bioeconomia in Europa” della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo

(Rinnovabili.it) – La pandemia di coronavirus, che ha paralizzato il pianeta, ha sottolineato una necessità ben precisa sul fronte economico: quella di ripensare il modello di sviluppo attuale in una logica di maggiore sostenibilità e rispetto ambientale. In questo contesto, le opportunità più interessanti sono legate al concetto di bioeconomia, sistema che utilizza le risorse biologiche, rifiuti inclusi, per produrre beni e servizi.

In Italia questo meta settore occupa oltre due milioni di persone e genera un output pari a circa 345 miliardi di euro (dati 2018). Il dato ci colloca direttamente sul podio europeo, dietro a Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi). Delle opportunità della bioeconomia italiana e del ruolo nel Vecchio Continente se ne è parlato in occasione della presentazione del nuovo report della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. Il documento, giunto alla sesta edizione, conferma come questo mercato sia estremamente articolato e vario, caratterizzato da una forte interconnessione fra i settori che lo compongono.

Spicca, in particolare, il ruolo della filiera agro-alimentare nazionale che si posiziona ai primi posti in Europa, con un peso sul totale europeo del 12% in termini di valore aggiunto e del 9% in termini di occupazione. Sebbene altamente integrato nel contesto europeo, l’agroalimentare italiano conserva ancora oggi una forte base domestica, con quasi l’80% del valore aggiunto di derivazione nazionale. “La bioeconomia costituisce un settore fondamentale per accelerare la crescita dell’economia italiana”, spiega Stefania Trenti di Intesa Sanpaolo. “In particolare, l’analisi della filiera agro-alimentare mette in evidenza come il modello italiano, basato su realtà più piccole e ben radicate nei territori e nelle tradizioni locali, sia stato in grado di esprimere una forte attenzione all’innovazione coniugata ad una crescente sensibilità ambientale, elemento imprescindibile nel mondo post-pandemia”.

A fronte di un tessuto produttivo maggiormente frammentato, l’agrifood Made in Italy è caratterizzato da una specializzazione in prodotti ad elevato valore aggiunto e di alta qualità, come dimostrano il primato europeo delle certificazioni DOP/IGP e il terzo posto mondiale in termini di quota di mercato sui prodotti del food di alta gamma. Non solo. L’Italia è tra i leader europei con quasi 2 milioni di ettari di terreni destinati alle coltivazioni biologiche. L’analisi dei bilanci di un campione di oltre 9.300 imprese di settore, evidenzia come le realtà con certificazioni biologiche abbiano registrato una crescita del fatturato del 46 per cento dal 2008 al 2018; valore quasi doppio rispetto al più 25 per cento delle imprese senza certificazioni.

Leggi anche Se il cibo è “bio”, occhio all’etichetta per sapere se è in regola

Per Laura Campanini di Intesa Sanpaolo, “la logica circolare è un fattore cruciale per lo sviluppo della bioeconomia: l’Italia ha sviluppato buone pratiche ed esperienze innovative e in alcuni territori ha ottimizzato virtuosamente la raccolta differenziata, il riciclo e il riutilizzo di biocomponenti. I rifiuti organici prodotti dalla filiera agroalimentare sono una fonte importante di biomassa e rappresentano una risorsa da valorizzare piuttosto che uno scarto da smaltire. La sostenibilità della filiera agroalimentare è strettamente legata sia al modello produttivo e di consumo sia alla riduzione degli sprechi e alla valorizzazione degli scarti. La dotazione di impianti e gli assetti normativi e regolamentari sono cruciali per garantire la chiusura del cerchio in modo sostenibile”.