Il processo, chiamato “guarigione elettrochimica”, permette di recuperare metalli strutturali che altrimenti finirebbero in discarica
Il recupero dei metalli strutturali avviene a temperatura ambiente e funziona al 100%
(Rinnovabili.it) – Sono lo scheletro dei nostri palazzi, ma sono difficili da riparare. Sono i cosiddetti “metalli strutturali”, che reggono il peso delle costruzioni e sono utilizzati ampiamente in edilizia. Ma come fare per aggiustarli quando si rompono?
In un articolo pubblicato sulla rivista Advanced Materials, un team di ricercatori guidato da James Pikul della School of Engineering and Applied Science della Pennsylvania (a Philadelphia), ha presentato una nuova tecnica. Il procedimento sarebbe in grado di restituire resistenza e tenacità (cioè il grado di resistenza meccanica e di coesione presentato da certi materiali) dei metalli strutturali. I ricercatori la chiamano “guarigione elettrochimica”, che permetterebbe di riparare le fratture che possono colpire acciaio, leghe di alluminio e complesse strutture stampate in 3D. Il tutto, in condizioni di temperatura ambiente.
Si tratta di una novità interessante, dal momento che finora le riparazioni sono state fatte adottando tecniche che sfruttano l’alta temperatura – come la brasatura e la saldatura. Tuttavia, queste tecniche hanno dei limiti. Alcune leghe, infatti, tendono a spezzarsi se sottoposte a temperature estreme. In più, ci sono nuove strutture complesse stampate in 3D troppo delicate per essere trattate con quei procedimenti. Un bel problema, visto che i metalli difficili da riparare di solito diventano rifiuti.
Come funziona la guarigione elettrochimica
Per consentire alla frattura di ricomporsi, i ricercatori hanno immerso il metallo in un elettrolita (cioè una soluzione a base acquosa). In questo caso, era composto di acqua salata contenente ioni di nichel. Applicando una tensione negativa, gli scienziati hanno spostato gli ioni nell’elettrolita verso le fessure del metallo. Questo ha generato un aumento degli elettroni. Gli ioni metallici a questo punto hanno iniziato a rubare gli elettroni in eccesso dall’elettrolita, innescando una reazione chimica chiamata riduzione. La riduzione ha trasformato gli ioni in atomi di metallo solido e, man mano che gli atomi crescevano nella frattura, la chiudevano.
“Chiamiamo il nostro metodo ‘guarigione elettrochimica’ perché ricorda il modo in cui i nostri corpi riparano una frattura ossea – ha detto Zakariah H’sain, uno dei ricercatori coinvolti nell’esperimento – La materia curativa viene trasportata nel sito della frattura e la forza viene recuperata attraverso la sua crescita e la riconnessione delle superfici di frattura opposte”.
Su tutte le leghe adottate per l’esperimento, il risultato è stato lo stesso: un recupero del 100%. Adesso, per ottimizzare ulteriormente il processo, la scommessa è progettare componenti che tengano conto delle possibili riparazioni in anticipo, in modo da facilitare ulteriormente il recupero della forza.