La scienziata indiana continua a battersi sugli scottanti temi dell'appropriazione illegale delle terre, la perdita di biodiversità e la difesa dei più deboli
Parte da un paragone calzante, Vandana Shiva, per parlare dell’emergenza del land grabbing, l’accaparramento dei terreni: il Cinema Palazzo sarebbe potuto diventare un casinò come le terre che vengono espropriate per farne poi altro. E d’altra parte il fenomeno non è nuovo,- ricorda la teorica indiana dell’ecologia sociale -, ma rimanda al fenomeno della colonizzazione. La digressione sull’India è interessante quanto necessaria, così la Shiva si sposta e ci porta nel suo Paese dove, soprattutto per tutelare la sovranità alimentare, la nascita di proteste è sempre stata immediata e vigorosa. «Non saremmo dove siamo oggi se non avessimo protestato allora», dice la Shiva, ricordando le rivolte contro lo sfruttamento dei contadini per il cotone, del quale anche Gandhi fu attivo protagonista. Negli ultimi quindici anni il movimento contro l’espropriazione della terra è diventato trasversale, diffondendosi dalle campagne alle città, come a Bombay ad esempio. «Dobbiamo rispettare le popolazioni indigene e i diritti dalla mother earth. E’ l’unica cosa da fare di fronte a queste speculazioni, perché non c’è sicurezza nel land grabbing ma solo nella democrazia della terra».
«Se guardiamo alla Globalizzazione», prosegue la Shiva, «vediamo una forma di commercializzazione di tutto ciò che esiste; è con esso che il fenomeno della speculazione della terra è aumentato». Il problema, sottolinea la Shiva, è che «quando si riduce la terra a pura merce svaluti tutto». Altri temi affrontati quello della destinazione delle coltivazioni per la produzione di biocombustibili, «la chiamano Green economy ma non c’è niente di green se non quello dell’avidità», la perdita di biodiversità causata dalle monoculture e dai pesticidi e quello della tutela della diversità dei semi. Da sempre Nadanya critica l’introduzione di Ogm e le monoculture industriali che stanno portando alla sparizione della diversità dei semi, e da poco l’associazione Navdanya International di Firenze ha pubblicato un rapporto sulle libertà delle semenze stilato da comunità contadine e organizzazioni da ogni parte del mondo.
Lo scorso luglio, spiega la Shiva, la Corte di Giustizia europea ha vietato il commercio di alcune tipologie di semi. L’ambientalista indiana, da sempre contraria ai brevetti sulle sementi e al loro monopolio da parte di colossi dell’industria, descrive uno scenario tragico: quello di 270.000 suicidi tra i contadini indiani negli ultimi anni a causa dei cambiamenti apportati al loro lavoro con le restrizioni sul libero scambio tra agricoltori, insieme all’aumento vertiginoso dei costi delle sementi. Una delle battaglie più dure è stata ed è quella che l’Associazione di Vandana porta avanti contro l’Industria Monsanto la multinazionale di biotecnologie agrarie, colosso dell’industria chimica americana e maggior produttore mondiale di sementi convenzionali, con il solo ostacolo che «nessuna Corte suprema può andare contro la di lei» ha affermato l’ambientalista.