(Rinnovabili.it) – Le imprese del settore energetico, in particolare del carbone, «devono prendere sul serio la politica sul clima. Se pensano che le loro aziende siano immuni dai suoi effetti, stanno facendo un errore strategico». Le parole di Fatih Birol, capo economista del Global Energy Economics alla IEA, sferzano le corporations che fino ad oggi si sono opposte ai tentativi – blandi per la verità – dei governi di costruire una transizione verso una economia a basso tenore di carbonio. Entro il 2030, secondo Birol un quarto dell’energia del mondo verrà da fonti rinnovabili, che rappresenteranno quasi il 60% della nuova potenza installata, i due terzi della quale solo in Cina, India, Stati Uniti e Unione Europea.
Il responsabile del World Energy Outlook si è espresso durante il meeting di 2000 esperti di clima provenienti da oltre 100 Paesi del mondo, riuniti a Parigi per fornire un messaggio ampio e condiviso alla comunità internazionale quando mancano meno di 5 mesi alla COP 21.
Al tempo stesso, però, l’uso del carbone sta inaspettatamente guadagnando terreno, non solo entro i confini di grandi potenze economiche come Cina e India, ma anche nelle nazioni africane in rapida crescita come Angola, Benin, Tanzania e Sudan. Lo ha fatto notare Ottmar Edenhofer, capo economista presso il Potsdam Institute for Climate Impact Research.
L’aumento globale dell’uso di carbone, che sta sorpassando i benefici raggiunti grazie all’efficienza energetica e l’adozione delle energie rinnovabili, è uno dei motivi (insieme alla crescita economica e demografica) per cui le emissioni di gas serra continuano a crescere, ha spiegato.
La chiave per fermare la spirale involutiva è mettere un prezzo alle emissioni, in modo da rendere le fonti rinnovabili più attraenti, dato che le reputa una «condizione necessaria per ogni tipo di politica climatica».
La misura è però quanto di più lontano esista dall’interesse delle grandi imprese inquinanti, e questo provoca non pochi problemi ai governi, molti dei quali considerano un suicidio politico andare contro al volere dei colossi industriali. Eppure Edenhofer ha insistito, dicendo che usare le entrate delle carbon tax per finanziare l’accesso all’energia pulita o tagliare il debito pubblico potrebbe essere un buon modo per rendere socialmente accettabile il processo.
Se si mettessero prezzi «moderati» sul carbonio nei principali Paesi africani che ora stanno facendo investimenti a lungo termine in centrali elettriche a carbone, le entrate potrebbero contribuire a ridurre le disuguaglianze e combattere la povertà, ha aggiunto, concludendo che l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili potrebbe anche liberare ingenti somme in molti paesi per la spesa sociale.
Molto più prudente è stato Frank Geels, esperto in sistemi di innovazione e sostenibilità alla Britain’s University of Manchester. Secondo Geels si potrebbero prendere in considerazione meccanismi di capacity payment, ossia sussidi alle centrali inquinanti in cambio di un abbassamento della produzione elettrica e delle conseguenti emissioni. Una misura controversa, che tuttavia in Italia è una realtà e in Germania lo è divenuta da qualche giorno grazie alle pressioni dell’industria.