(Rinnovabili.it) – Uno degli ecosistemi più sconosciuti e fragili rischia di venire gravemente compromesso entro la fine del secolo dai cambiamenti climatici e dall’azione dell’uomo. Sono le profondità degli oceani, per convenzione le acque che si trovano al di sotto dei 300 metri di profondità. Una parte del Pianeta pressoché inesplorata ma preziosa per la biodiversità e il clima.
Uno studio condotto da scienziati provenienti da 20 diversi istituti di ricerca ha ricostruito le condizioni degli oceani nel 2100, tenendo conto di tutti i fattori di stress concomitanti che sono all’opera già oggi e dei loro possibili sviluppi. Il risultato è “abbastanza spaventoso”, commenta Andrew Sweetman, docente dell’università di Edinburgo e co-autore dello studio pubblicato sulla rivista Elementa.
Le riserve di cibo sui fondali marini nelle regioni più profonde degli oceani diminuiranno fino al 55% entro fine secolo, lasciando senza adeguato sostentamento animali e microbi che li popolano. Punto cardine è il riscaldamento degli oceani. Le acque comprese tra i 200 e i 3mila metri di profondità nel Pacifico, nell’Atlantico e nell’Artico saranno fino a 4°C più calde, mentre gli abissi fino a 6mila metri potrebbero riscaldarsi di 0,5-1°C. Da qui parte una serie di effetti a catena.
Prima di tutto la diminuzione della concentrazione di ossigeno in acqua, che può arrivare fino a -3,7% aumentando le cosiddette “zone morte”. Allo stesso tempo gli oceani assorbiranno più CO2 dall’atmosfera e quindi aggraveranno il processo di acidificazione, che mette a serio rischio la sopravvivenza di molluschi e coralli. Di conseguenza, l’insieme di tutti questi fattori porterà in alcune regioni, come l’oceano Indiano, al dimezzamento della quantità di materia organica disponibile nelle profondità marine.
Non sono soltanto i cambiamenti climatici a mettere a repentaglio questi ecosistemi. Altre attività umane hanno un ruolo non trascurabile, ad esempio la pesca, lo sversamento di sostanze inquinanti, le trivellazioni dell’oil&gas e il crescente interesse verso il deep-sea mining (l’estrazione di minerali dai fondali). “Molte delle aree che saranno oggetto di estrazione di risorse coincidono con le zone che saranno più colpite dall’impatto dei cambiamenti climatici”, conclude Sweetman.