(Rinnovabili.it) – Torturato, ucciso, incaprettato e seppellito. È morto così José Isidro Tendetza Antun, attivista ambientale ecuadoriano che si opponeva a un maxi progetto minerario nel suo Paese. O meglio, non è morto: è stato assassinato. L’ex vice-presidente della Federazione Shuar di Zamora era scomparso il 28 novembre: era stato visto l’ultima volta ad un incontro di manifestanti contro la miniera d’oro e rame Mirador. Oggi, a seguito di una soffiata, il figlio Jorge ha trovato e portato alla luce il corpo del padre da una tomba senza nome. Le braccia e le gambe erano legate da una corda blu.
I membri della comunità Shuar, secondo gruppo indigeno dell’Ecuador, hanno detto che a Tendetza erano state offerte tangenti senza successo. Allora le sue colture erano state bruciate, nel tentativo di cacciarlo dalla zona. Un metodo mafioso di intimidazione che l’Italia conosce bene.
Domingo Ankuash, leader Shuar, ha detto che i segnali di tortura sul corpo di Tendetza erano evidenti, ma che la realtà fatica a diventare di dominio pubblico. La famiglia è amareggiata per il modo trascurato con cui vengono condotte le indagini, soprattutto per la riluttanza delle autorità a effettuare un’autopsia tempestiva.
«Il suo corpo è stato picchiato, le ossa erano rotte – ha detto Ankuash – Ha subito torture ed è stato poi gettato nel fiume». Qui è stato trovato e sepolto in fretta e furia (da chi?) finché il figlio non lo ha trovato.
L’uccisione è stata l’extrema ratio, e accende i riflettori sulla situazione densa di rischi per gli attivisti ambientali dell’Ecuador. Non solo non trovano una sponda nel governo, ma lo ritengono colluso con le multinazionali che sfruttano il territorio e la foresta. E quindi colluso con gli omicidi. Tanto, forse, da cercare di far sparire le tracce seppellendo il corpo in una tomba senza nome.
La scorsa settimana, invece, un gruppo di attivisti che viaggiavano con una “carovana del clima” è stato fermato sei volte dalla polizia sulla strada per Lima, e alla fine il loro bus è stato confiscato. Volevano denunciare l’operato del presidente, Rafael Correa, sul palcoscenico della COP20.
In Perù doveva andarci anche Tendetza, che aveva programmato di condannare il progetto minerario contro cui si batteva presso il Tribunale per i diritti della Natura organizzato dalle ONG nella capitale.
Luis Corral, un consigliere all’Assemblea del popolo del Sud, gruppo ombrello per le federazioni indigene nel sud dell’Ecuador, ha detto che se Tendetza avesse presenziato alla COP20 avrebbe messo in «grave dubbio l’onorabilità e l’immagine del governo ecuadoriano come garante dei diritti della natura».
Tendetza è stato un forte contestatore di Mirador, l’enorme cava a cielo aperto autorizzata in una zona molto densa di biodiversità, che è anche dimora del Shuar, il secondo gruppo indigeno dell’Ecuador.
Il progetto è gestito da Ecuacorriente, società di proprietà canadese in origine, ma poi rilevata nel 2010 da un conglomerato cinese, la CCRC-Tongguan Investment. Secondo la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador, il progetto devasterà circa 450.000 ettari di foresta.
«Questo è un crimine camuffato – ha detto Ankuash, senza peli sulla lingua – In Ecuador, le multinazionali sono invitate dal governo e hanno le spalle coperte dallo Stato, della polizia e dell’esercito. L’esercito e la polizia non proteggono le persone, non difendono il popolo Shuar. Sono stati comprati dalla società. Tendetza non era un signor nessuno. Era un potente leader che contrastava la miniera. Ecco perché hanno buttato giù la sua casa e bruciato la sua fattoria. Il governo non ci darà una risposta: la giustizia appartiene a loro. Ci chiameranno terroristi, ma questo non significa che abbiamo intenzione di stare zitti».
Diversi altri oppositori Shuar di Mirador sono morti negli ultimi anni, tra cui Bosco Wisum nel 2009 e Freddy Taish nel 2013. Lo riporta Amazon Watch .
L’assassinio di Tendetza mette in risalto i rischi che devono affrontare gli attivisti ambientali in Ecuador (e non solo). Un tempo lodata per essere stata la prima nazione ad elaborare una “costituzione verde”, che sancisce i diritti della natura, l’Ecuador ha visto la sua reputazione deteriorarsi negli ultimi anni, quando Correa ha cominciato a volgere lo sguardo verso lo sfruttamento di petrolio, gas e minerali, il metodo più rapido per pagare i debiti contratti con la Cina.