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Trump dà l’ok all’oleodotto Keystone XL ma l’opposizione resta alta

Il Presidente USA annuncia ufficialmente i piani per consentire alla TransCanada della controversa pipeline bocciata da Obama

Trump dà l’ok all'oleodotto Keystone XL ma l’opposizione resta alta

 

(Rinnovabili.it) – “Non è nell’interesse dell’America e non avrebbe un contributo significativo per la nostra economia”. Così nel 2015, dopo otto anni di dura opposizione degli ambientalisti, l’ex presidente Obama bloccava il l’oleodotto Keystone XL, estensione dell’omonimo Keystone Pipeline System. Uno stop solo temporaneo dal momento che il nuovo inquilino della Casa Bianca l’ha reinserito a forza nel piano di sviluppo energetico nazionale.

 

Così come successo il Dakota Access Pipeline, anche per Keystone XL è stato firmato l’ordine esecutivo a cui si aggiunge oggi il permesso presidenziale ai lavori  di costruzione  concesso a favore di TransCanada Corporation. L’infrastruttura rappresenta la quarta fase del Keystone Pipeline System. A regime dovrebbe trasportare fino a 830mila barili di oli bituminosi da Alberta, in Canada, a Steele City, in Nebraska, dove si riallaccerebbe alla pipeline madre per portare il suo carico fino alle raffinerie sulla costa del Golfo.

 

Mettendo a confronto pro e contro però, il peso sembra essere fortemente sbilanciato verso i lati negativi. Le preoccupazioni sono tutte rivolte agli impatti ambientali: il condotto passerebbe direttamente sopra la falda acquifera di Ogallala, un enorme serbatoio sotterraneo nelle Grandi Pianure che fornisce l’accesso idrico a milioni di cittadini, tra cui diverse tribù di nativi americani. Anche una piccola perdita potrebbe contaminare milioni di litri d’acqua con benzene, mettendo in serio rischio le riserve idriche potabili.

L’ipotesi che un incidente si verifichi, non è rara. La stessa TransCanada ha ipotizzato uno scenario di rischio, stimando 11 sversamenti significativi (più di 50 barili di petrolio greggio) in un periodo di oltre 50 anni. Ma le stime sono state riviste al rialzo da uno studio indipendente dell’Università del Nebraska, e gli 11 sversamenti significativi sono divenuti più realisticamente 91.

 

In realtà anche i benefici, guardati da vicino, sono meno di quelli vantati in campagna elettorale da Trump. Il presidente USA ha presentato il progetto come in grado di creare 28.000 nuovi posti di lavoro, ma uno studio dello stesso Dipartimento di Stato (pubblicato nel 2014) calcola che gli occupati non saranno neppure 4.000 e tutti temporanei, se si escludono 35 posti di lavoro permanenti.

E viene meno anche la promessa presidenziale di usare solo acciaio “made  in USA”. L’opera non è vincolata a nessun obbligo poiché gran parte della tubatura è già stata costruita e stoccata.

 

Nel frattempo i gruppi ambientalisti hanno promesso di dar battaglia ancora una volta al progetto: con pressioni alle banche che vorranno finanziare i lavori di TransCanada, fino ai ricorsi in tribunale, in quanto il via libera di Trump è stato concesso senza effettuare una nuova valutazione. Inoltre, come spiega l’avvocato Fred Jauss “Il lasciapassare del Presidente è solo una parte di una rete di permessi federali, statali e locali che devono essere ottenuti prima di iniziare la costruzione […] TransCanada ha ancora bisogno di raggiungere accordi con centinaia di proprietari terrieri potenzialmente interessati dalla tratta del gasdotto. C’è ancora un sacco di lavoro da fare”.