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Trivelle: la società civile prova a rovesciare il decreto del MiSE

Presentate oggi alla Camera due mozioni parlamentari per fermare le trivelle entro le 12 miglia. Le sottoscrivono anche deputati del Pd

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(Rinnovabili.it) – Come fermare un governo deciso a sguinzagliare le trivelle entro le 12 miglia? Facile: impegnando il governo a rispettare le sue stesse leggi. È quanto si evince dalla mozione proposta oggi dal Coordinamento nazionale No Triv, l’associazione A Sud e Green Italia. Diverse le firme sul documento: hanno risposto all’appello deputati provenienti da Sinistra italiana, Movimento democratici e progressisti, Alternativa libera, Articolo 1, Possibile e pezzi del PD. Il Movimento 5 stelle, pur condividendo l’obiettivo della mozione, ha voluto presentarne una propria. Le richieste, però sono le stesse:

 

  • che l’intesa delle Regioni sui titoli minerari sia data al termine del procedimento unico ma prima dell’adozione del decreto del Ministro dello Sviluppo Economico;
  • che nel caso di progetti sperimentali nel Golfo di Venezia sia prevista l’intesa con la Regione e non soltanto un suo parere;
  • che la modifica al programma dei lavori relativa a concessioni entro le 12 miglia non contempli piattaforme o pozzi non previsti dal programma originario.

Si punta in sostanza a riportare nell’ambito della legittimità il decreto disciplinare del Ministero dello Sviluppo Economico entrato in vigore lo scorso 3 aprile. In quel documento vi sono disposizioni che fanno tremar le vene e i polsi agli ambientalisti, poiché è prevista la possibilità per le imprese di variare il programma dei lavori a piacimento, anche installando nuove piattaforme e aprendo nuovi pozzi. In barba alla legge che il governo stesso aveva scritto per sterilizzare il referendum del 17 aprile 2016.

 

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Il Ministro Calenda ha dichiarato che non vi saranno nuove concessioni entro le 12 miglia, ma sebbene non sia previsto il rilascio di nuovi titoli alle compagnie, sarà comunque loro permesso di trivellare nuovi pozzi con nuove piattaforme all’interno di concessioni già possedute. Non solo: Calenda apre anche a progetti sperimentali nel mare territoriale senza il parere vincolante della Regione, andando oltre lo stesso Sblocca Italia e ad una legge che disciplinava questi progetti nel Golfo di Venezia. Il bersaglio grosso del decreto, e dunque della mozione presentata stamattina, è proprio il ruolo delle Regioni. Fino ad oggi era previsto che, per tutti i titoli abilitativi, l’intesa tra governo e Regione venisse raggiunta in Conferenza dei servizi e poi che il decreto di conferimento del titolo fosse rilasciato previa intesa con la Regione interessata. Questi due paletti sono stati divelti dal decreto del MiSE, che vorrebbe acquisire il parere della Regione interessata solo in Conferenza dei servizi, dove però l’amministrazione siede al pari di tutte le altre e non gioca un ruolo politico.

 

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Possono sembrare tecnicismi, ma dietro di essi si cela il bilanciamento tra poteri dello stato che regge una democrazia. Il tentativo di rendere l’energia di competenza esclusiva del governo è fallito con la bocciatura del referendum costituzionale, e ora  il decreto Calenda torna all’attacco, con l’effetto di raschiare ulteriori margini di manovra al livello locale.

In questa battaglia in punta di diritto, la mozione parlamentare è la contro-stoccata dei territori, che non ci stanno a vedersi sottrarre lo spazio di dialogo paritario con Roma. Il cammino della mozione si annuncia non facile, con la maggioranza schierata sull’altro fronte. Ma se la calendarizzazione cadesse nei dintorni della tornata di elezioni amministrative (11 giugno), potrebbe anche incidere sul voto finale.