(Rinnovabili.it) – Dopo le polemiche sull’invito all’astensione, Renzi torna a parlare di referendum e di trivelle. Il capo del governo ha parlato ieri al congresso dei giovani del Pd, riproponendo la retorica dei posti di lavoro persi qualora la consultazione vada in porto. «Non fatevi prendere in giro – ha detto Renzi – non è un referendum sulle nuove trivelle, che hanno già la linea più dura d’Europa. È un referendum per bloccare impianti che funzionano. Io lo considero uno spreco. Ciascuno quando voterà sì o no pensi se sia giusto che 10mila persone perdano il posto».
Purtroppo, non vi sono stime cui attingere per verificare questo numero. In ogni caso, non vi sarà nessun taglio occupazionale dopo il referendum. Lo ha spiegato questa mattina, a Omnibus, il presidente della Puglia, Michele Emiliano. La sua è una delle amministrazioni regionali che più si sono spese per promuovere questa consultazione.
«Il Presidente del Consiglio dice due bugie – ha esordito Emiliano – La prima è che ci sarà una perdita di posti di lavoro. È una sciocchezza, perché la legge prevede la proroga della coltivazione dei pozzi di cinque anni in cinque anni nella fase finale: non abbiamo mai perso un posto di lavoro. Tra l’altro, prima i posti persi erano 4mila, ora sono diventati 10mila. La seconda bugia è che se vince il referendum si bloccano le coltivazioni dei pozzi».
Lo spreco di denaro è nei regali alle lobby
Votare Sì al referendum del 17 aprile servirà per evitare nuove perforazioni in mare a meno di 12 miglia dalla costa. Dunque, per irrigidire davvero quella che il presidente del Consiglio definisce «la linea più dura d’Europa». Oggi, infatti, grazie agli emendamenti del Pd alla legge di stabilità, la durata delle concessioni è divenuta infinita. Se da una parte vengono vietate nuove trivellazioni, con le autorizzazioni già esistenti le compagnie possono restare nei mari italiani virtualmente per sempre. E continuare a perforare.
Sul fronte degli sprechi, spiega il Movimento No Triv in una nota, il governo ha poi ben poco da obiettare: «Senza dare ascolto al presidente del Senato, il governo ha negato l’election day, bruciando così 340 milioni di euro».
Inoltre, fanno notare i movimenti, i contribuenti italiani sono a rischio sanzione europea per l’estensione infinita delle concessioni per gli idrocarburi. Con questo provvedimento, l’Italia viola la direttiva 94/22/CE (recepita dall’Italia con d.lgs. 25 novembre 1996, n. 625). Essa, come spiegava il costituzionalista Enzo di Salvatore in un editoriale per Rinnovabili.it, prescrive che «la durata dell’autorizzazione ‘non superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata concessa’, e che solo in via eccezionale (e non in via generale e a tempo indeterminato!) il legislatore statale possa prevedere proroghe della durata dei titoli abilitativi».
Gli idrocarburi in mare sono finiti
Inoltre, come ha notato un articolo di ASPO Italia, l’associazione di esperti per lo studio del picco del petrolio, non si è mai fatto il punto su quanto petrolio e gas vi siano ancora da estrarre al largo delle coste italiane. Secondo i dati raccolti e analizzati da ASPO, la produzione di gas sta calando da 20 anni: «le riserve ancora recuperabili non bastano più nemmeno per coprire i consumi italiani di un anno e mezzo. La ricerca di nuovi giacimenti, dopo 70 anni di esplorazione, è avviata verso la sua morte naturale, soprattutto in mare dove da 6 anni non si perforano più pozzi esplorativi. Va un poco meglio per il petrolio, per cui si arriva a due anni e mezzo. L’avventura fossile dell’Italia è ormai in declino. Nuovi giacimenti da scoprire ce ne sono ormai ben pochi e pare interessino sempre meno alle compagnie petrolifere».
Con queste prospettive, piuttosto che boicottare il referendum, l’esecutivo dovrebbe avere ben chiara una exit strategy basata sulle energie rinnovabili. Invece nel nostro Paese manca a tutt’oggi una strategia energetica nazionale.