(Rinnovabili.it) – Dunque, riassumendo: oggi il presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, ha invitato a non disertare il referendum sulle trivelle del 17 aprile; giovedì scorso il presidente del Senato, Pietro Grasso, e la presidente della Camera, Laura Boldrini (seconda e terza carica dello Stato) hanno dichiarato che parteciperanno alla consultazione; venerdì il ministro francese dell’Ecologia, Ségolène Royal, ha deciso di applicare una moratoria immediata sui permessi di ricerca di idrocarburi nel Mar Mediterraneo dopo che la Croazia l’ha già in vigore da tempo.
Eppure, mentre in tutto il Paese – e anche in quelli confinanti – si sta parlando di trivellazioni in mare, il presente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha ancora espresso un parere. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi invece sì, lo ha fatto eccome: ha invitato gli italiani ad astenersi per far mancare il quorum, prendendosi anche una denuncia dai Radicali perché «l’istigazione all’astensione da parte di membri del governo, più volte perpetrata dal premier Matteo Renzi e dal sottosegretario allo Sviluppo economico Teresa Bellanova, costituisce reato».
Certo, difficile aspettarsi dal Pd e dal suo segretario una chiamata al voto. Con ogni mezzo il governo ha tentato di sabotare l’iniziativa referendaria promossa da 9 Regioni italiane e dal movimento No Triv. In parte è riuscito a depotenziarla tramite un emendamento alla legge di stabilità. Tuttavia, o per imperizia dei tecnici, o per un tentativo mal riuscito di aggirare i quesiti referendari, l’emendamento non è riuscito a sterilizzare la consultazione. Un quesito è rimasto in vita: chiede che i titoli abilitativi già rilasciati alle compagnie del petrolio e del gas tornino ad avere una scadenza certa. La legge di stabilità, infatti, ha modificato la normativa precedente, inserendo la generica dicitura «fino al termine della vita utile del giacimento» laddove prima vi erano date precise. La normativa europea prevede infatti che i titoli per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi vengano concessi per 30 anni. La compagnia può poi chiedere una prima proroga di 10 anni e, infine, altre due di 5 anni ciascuna. Se a questi termini subentra il concetto di «vita utile del giacimento», le aziende avranno un’ottima scusa per non affrontare mai i costi di smontaggio delle piattaforme e di bonifica dei siti. Da un lato aumenterebbero i rischi ambientali per l’invecchiamento delle strutture, dall’altro – nel caso in cui dovesse mancare il quorum – il nostro Paese sarebbe esposto ad una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea per aver tolto la data di scadenza alle trivelle in mare.
A fare da contorno, lo scandalo che ha travolto l’ex ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, imperniato proprio sui rapporti che pezzi del governo intrattengono con le lobby del petrolio e del gas. Dinanzi a questo polverone, tuttavia, Mattarella rimane impassibile, invisibile. Tra poco, però, in troppi cominceranno a considerarlo inaudito.