(Rinnovabili.it) – Contro una strategia energetica inesistente e a favore di un referendum sulle trivelle che ha lo scopo di portare il tema alla ribalta nel dibattito nazionale. Sono queste le ragioni della protesta pacifica organizzata da Greenpeace stamattina a Roma, in piazza Venezia.
Gli attivisti hanno disseminato la piazza con una trentina di piccole trivelle e aperto un lungo striscione.
«Siamo in questo luogo così simbolico per il Paese per ricordare ai cittadini che il referendum del prossimo 17 aprile riguarda l’Italia nella sua interezza – ha spiegato Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace – Le trivelle sono una grave minaccia per i nostri mari, e già questo sarebbe motivo sufficiente per respingerle. Ma esse rappresentano anche un indirizzo energetico insensato, che condanna l’Italia alla dipendenza dalle fonti fossili».
Dire sì al referendum per dire no alle trivelle
Il referendum, fissato dal presidente della Repubblica per il prossimo 17 aprile, è stato promosso da nove Regioni italiane sulla spinta di un movimento popolare ampio e variegato. Il tempo per la campagna di invito alla partecipazione è poco: la solerzia del Colle nell’apporre la firma sul decreto del governo che proponeva la data del 17 aprile ha fatto insorgere la compagine No Triv. A causa della fretta con cui si è pronunciato Mattarella, gli italiani saranno chiamati ad esprimersi su un solo quesito: quello che riguarda la durata delle trivellazioni in mare. Per evitare il prolungamento sine die delle concessioni petrolifere entro le 12 miglia marine, bisognerà votare sì: è l’invito del comitato promotore che campeggia sulla nuova pagina Facebook creata per l’occasione. Intanto, però, restano in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale due ricorsi per conflitto di attribuzione, promossi da sei Consigli regionali. Se la valutazione della Consulta sarà positiva, verranno riabilitati altri due quesiti di un referendum che, originariamente, ne prevedeva sei. Essi riguardano le trivellazioni in terraferma e il coinvolgimento delle Regioni nella stesura dei di perforazione, ma non ci sarà il tempo di portarli al voto il 17 aprile. La Corte si esprimerà il 9 marzo e mancherebbero i 45 giorni minimi per organizzare la campagna referendaria.
In definitiva, potrebbe accadere l’incredibile: invece di un referendum unico, su tre quesiti, accorpato alle amministrative di giugno (e a costo quasi zero), rischia che le consultazioni saranno due, entrambe svincolate dalle elezioni. Un esborso, a carico dei contribuenti, che supera i 700 milioni di euro.