(Rinnovabili.it) – Un election day da fissare il 6 giugno, che accorpi referendum sulle trivelle e primo turno delle elezioni amministrative, così da raggiungere più agilmente il quorum e risparmiare circa 150 milioni di euro. È la richiesta del coordinamento nazionale No Triv, che ieri ha tenuto una conferenza stampa alla Camera dei deputati fianco a fianco con le grandi associazioni ambientaliste e delle rinnovabili.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale, che il 19 gennaio ha ritenuto ammissibile uno dei sei quesiti proposti dai movimenti anti trivelle insieme a 10 Consigli Regionali (oggi 9 per la defezione dell’Abruzzo), comincia la vera e propria campagna di comunicazione.
«Per la prima volta in Italia è stato indetto un referendum sulle trivellazioni e sulla strategia energetica del Paese – ha dichiarato Alfonso Pecoraro Scanio, ex ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura oggi presidente della Fondazione Univerde – Dobbiamo convincere le 11 regioni mancanti a fare campagna per il raggiungimento del quorum. Il governo non è stato affatto collaborativo, non è venuto incontro alle richieste referendarie. Tre quesiti sono stati sostanzialmente accolti con la legge di stabilità, due sono stati aggirati con modalità truffaldine mentre uno è passato. Adesso è importante che l’esecutivo eviti qualsiasi legge ammazza-referendum, è l’Italia che deve decidere».
La richiesta di un election day poggerebbe anche su ragioni economiche, sostengono i promotori. In un momento in cui si sbandiera la spending review, ritengono strano che si raddoppino i costi separando le consultazioni. Alcuni parlamentari di Sinistra e Libertà e Alternativa libera cercheranno alla Camera il sostegno per una mozione che impegna il governo allo svolgimento del referendum in concomitanza con il primo turno delle amministrative.
Il voto potrebbe essere calendarizzato tra il 15 aprile e il 12 giugno: vi sarebbero pertanto tutte le condizioni per mettere insieme i due momenti elettorali, amministrative e referendum. Anche perché, spostando il termine a giugno, gli italiani potrebbero trovarsi a votare tre quesiti sulle trivelle invece di uno solo. Questo perché i promotori sperano che la Corte Costituzionale faccia in tempo a pronunciarsi sul conflitto di attribuzione che lunedì verrà sollevato da 6 regioni (Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania) contro il Parlamento. Il ricorso intende riabilitare altri due quesiti referendari, decaduti dopo le modifiche inserite nella legge di stabilità in maniera – ritengono i No Triv – manipolatoria.
«Cancellando la norma che prevedeva il Piano delle aree – ha spiegato Enzo Di Salvatore, costituzionalista e coordinatore del movimento – sono decaduti i due quesiti che ne prevedevano il mantenimento». Tuttavia, i proponenti chiedevano di indirizzare le attività petrolifere potenziando questo strumento di pianificazione territoriale, che coinvolge Stato e Regioni, invece di eliminarlo tout court.
«La Corte Costituzionale dovrà decidere se il conflitto di attribuzione è ammissibile – aggiunge Di Salvatore – e poi entrerà nel merito in un secondo momento. Ci vorrà del tempo, ma se il ricorso verrà ritenuto ammissibile chiederemo al governo e al capo dello Stato di aspettare la decisione nel merito per, eventualmente, accorpare i 3 quesiti. L’alternativa sarebbe andare a referendum su uno solo e poi sugli altri due. Terza possibilità, la consultazione potrebbe essere ritardata per inserirvi tutti e tre i quesiti».
Sostegno alla proposta di un election day è arrivato dalle principali associazioni ambientaliste. Greenpeace, Legambiente e WWF hanno criticato il governo Renzi, responsabile di aver «spalancato nostri mari ai petrolieri per recuperare un quantitativo risibile di idrocarburi di scarsa qualità» (Greenpeace), di «affossare il turismo balneare che l’anno scorso ha fatturato 19 miliardi di euro» (Legambiente) e «mettersi contro i cittadini e le Regioni» (WWF).
Una severa tirata d’orecchie viene anche da Assorinnovabili. Il responsabile dell’ufficio studi dell’associazione, Andrea Zaghi, ha tenuto a sottolineare che «le priorità di questo governo non sono l’efficienza energetica e le rinnovabili. L’esecutivo ha una politica miope, quasi cieca nei confronti dell’energia. Nei summit internazionali sbandiera impegni sul clima, ma poi non riesce a fare un decreto per incentivare le fonti rinnovabili. Le nuove installazioni sono sostanzialmente bloccate: nel 2015, la produzione energetica da rinnovabili ha visto un calo in Italia, anche se in parte è dovuto alle minori precipitazioni che hanno impattato sull’idroelettrico».