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Trivelle: il decreto del MiSe prova a beffare le Regioni

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(Rinnovabili.it) – In questi giorni si sono rincorsi allarmi, rassicurazioni e controallarmi, interrogazioni parlamentari e smentite del governo. Ma lo spettro di nuove piattaforme e nuove trivelle entro le 12 miglia marine è reale. Lo aveva evocato il costituzionalista Enzo Di Salvatore, estensore dei quesiti referendari che hanno portato al voto quasi 16 milioni di italiani ormai un anno fa, in un editoriale scritto per Rinnovabili.it il 24 marzo 2016. In caso di esito negativo della consultazione, la legge consentiva al governo di autorizzare nuove piattaforme e nuovi pozzi nelle concessioni già rilasciate, qualora il programma di sviluppo del giacimento lo prevedesse. Ma il disciplinare del Ministero dello Sviluppo economico per il rilascio dei titoli per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 3 aprile si spinge ancora oltre, intaccando il bilanciamento dei poteri tra governo ed Enti territoriali. Per approfondire il tema ci siamo rivolti nuovamente a Di Salvatore, professore di diritto costituzionale all’Università di Teramo.

 

In che modo le Regioni sarebbero nuovamente penalizzate?

Enzo Di Salvatore
Enzo Di Salvatore

Diversamente da quanto ha stabilito la Corte costituzionale nella sua consolidata giurisprudenza, che trova conferma nello Sblocca Italia, il decreto del Ministero dispone espressamente che l’intesa delle Regioni debba essere acquisita in Conferenza di Servizi. Questo comporta che le Regioni siano trattate alla stregua di una qualsiasi pubblica amministrazione, chiamate ad esprimere un parere meramente tecnico sulle carte. Invece, l’intesa è un atto autonomo e con un contenuto politico, rilasciato non da un dirigente ma dall’organo politico della Regione. Lo Sblocca Italia, almeno per questa parte, non si esime dal rispettare le prerogative costituzionali, dividendo in due fasi il rilascio del titolo: Conferenza di servizi da un lato, rilascio del titolo previa intesa con Regione interessata dall’altro.

Se tagliare i ponti con il livello locale può risparmiare una seccatura al governo, per le Regioni rappresenta né più né meno che una porta in faccia. Non è una sottigliezza, perché stiamo parlando di prerogative costituzionali.

 

Per quanto riguarda gli idrocarburi, quali pericoli corre il mare territoriale?

Adesso è possibile apportare modifiche al programma dei lavori che siano funzionali al recupero delle riserve accertate, per la durata di vita utile del giacimento e fino al completamento della coltivazione. In pratica, nero su bianco, ci dicono che le compagnie possono non solo piazzare nuove piattaforme se il programma originario lo prevede, ma addirittura modificare il programma di concessioni già ricevute o prorogate. In sostanza, c’è spazio per nuove trivelle anche se la legge lo vieta.

In più, potranno essere autorizzati progetti sperimentali nelle aree vietate, sulla base di quanto previsto dal decreto Sblocca Italia (art. 38 comma 10), che li consentiva però per il mare continentale. Già la legge 133 del 2008 stabilisce che il Consiglio dei Ministri possa autorizzare progetti sperimentali nel Golfo di Venezia, per il quale in verità nel 1991 si era introdotto un divieto di ricerca ed estrazione. Ma se quella legge richiedeva la previa intesa con la Regione, il decreto del MiSe oggi ritiene sia sufficiente “sentirla”, come prevede lo Sblocca Italia che però si riferisce al mare continentale, fuori dalle 12 miglia.

 

Ritiene dunque questo decreto illegittimo?

O il decreto viene modificato, oppure la Regione Veneto potrebbe vincere un ricorso al Tar proprio per le ragioni appena descritte. Al di là dei progetti sperimentali, però, è da notare che la partecipazione degli Enti territoriali viene fortemente ridimensionata tramite il comma 9 del decreto. Non è un mistero che il governo Renzi abbia tentato in più occasioni, dallo Sblocca Italia al referendum costituzionale, di indebolire il ruolo delle Regioni rispetto all’esecutivo. Con questo decreto disciplinare il Ministero è tornato alla carica, in direzione ostinata e contraria rispetto all’appello di 148 organizzazioni e 135 personalità che hanno chiesto di reintrodurre il Piano delle aree, lo strumento di concertazione che obbliga governo e Regioni a stilare una mappa condivisa delle trivellazioni.

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