In Senato Legambiente, WWF e Greenpeace hanno chiarito le ragioni del proprio dissenso alla diffusione delle piattaforme petrolifere chiedendo l'abrogazione dell'art. 35 del "Cresci Italia"
Il pericolo del decreto Cresci Italia risiede, secondo le associazioni, nell’estensione fino alle 12 miglia della zona off limits sottoposta alle nuove richieste di estrazione di idrocarburi in mare. Il conteggio delle miglia, inoltre, parte ora dalle linee di costa e non più dalla linea di base, e includendo quindi golfi e insenature mette a rischio ampie zone di mare, porzioni delle acque territoriali italiane anche all’interno delle fasce d’interdizione introdotte nel giugno 2010 a tutela delle aree protette. Da queste specifiche potrebbe derivare il via libera ad almeno 70 piattaforme di estrazione petrolifera, che andrebbero a sommarsi alle 9 già attive per un totale di 29.700 kmq di mare tra Adriatico centro meridionale, Canale di Sicilia, mar Ionio e golfo di Oristano, praticamente una superficie più grande della Sicilia.
“Nonostante il prodotto estratto sia poco e di scarsa qualità, l’Italia è una sorta di paradiso fiscale per i petrolieri: estrarre idrocarburi nel nostro Paese è vantaggioso solo perché esistono meccanismi che riducono a nulla il rischio d’impresa, mettendo però ad alto rischio l’ambiente. Ad esempio, le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, come le prime 50 mila tonnellate di petrolio estratte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas in terra e i primi 80 milioni di metri cubi in mare sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato. Ma non è finita qui. Le aliquote (royalties) sul prodotto estratto sono di gran lunga le più basse al mondo e sulle 59 società operanti in Italia nel 2010 solo 5 le pagavano (ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi)” si legge nel comunicato stampa diffuso dalle associazioni.