(Rinnovabili.it) – L’ambiguità del governo della Norvegia finisce in tribunale. Ieri gli ambientalisti di Greenpeace e Young Friends of the Earth hanno denunciato l’esecutivo per la leggerezza con cui concede licenze alle trivelle nell’Artico, in particolare nel mare di Barents. Secondo l’accusa, lo sfruttamento degli idrocarburi artici viola la costituzione norvegese, va contro gli impegni sottoscritti lo scorso dicembre con l’Accordo di Parigi sul clima e non tiene conto dei diritti delle generazioni future.
Con il patto sul clima, che entrerà formalmente in vigore il 7 novembre in apertura della COP22 a Marrakesh, Oslo si è impegnata a mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C sui livelli pre-industriali e possibilmente entro gli 1,5°C. Ma non è un impegno vincolante, difficile farlo valere in tribunale. Nel solco dell’Accordo, però, Oslo ha passato dei provvedimenti per diventare carbon neutral entro il 2030, un pacchetto di misure che mal si adatta con il via libera a nuove trivelle nell’Artico.
Ancora più solida appare l’accusa relativa alla costituzione. La Carta è stata modificata di recente per introdurre il diritto di vivere in un ambiente salutare. Nel nuovo articolo 112 si legge che “le risorse naturali dovranno essere gestite in base a considerazioni di lungo termine che salvaguardino questo diritto anche per le generazioni future”. Sarà la prima volta che a questo emendamento ci si appella in un’aula di tribunale, un banco di prova per future battaglie a difesa dell’ambiente.
Sotto lo scandaglio dei magistrati finirà quindi una parte importante della politica energetica del governo: nonostante gli impegni (su carta) nella lotta ai cambiamenti climatici, la Norvegia non ha ancora rinunciato allo sfruttamento di petrolio e gas, che continuano a pesare per il 20% del Pil. Al contrario, sono arrivate nuove licenze esplorative, che di recente hanno causato anche qualche imbarazzo all’esecutivo. Se, da un lato, giganti come Shell stanno abbandonando la ricerca di idrocarburi nell’Artico per via degli alti costi, la compagnia statale norvegese Statoil (ma anche l’italiana Eni) sono intenzionate a restare.