(Rinnovabili.it) – Oggi scade il periodo di 30 giorni per mandare osservazioni al governo croato in merito alle trivelle in Adriatico, che Zagabria vuole schierare il prima possibile. E dal governo italiano non è venuta nessuna richiesta di chiarimento o partecipazione.
L’esecutivo croato ha deciso di avviare un piano di sfruttamento dei fondali, suddividendo il 90% della superficie marina adriatica croata in 29 “blocchi”. In pratica, da nord a sud, tutta la zona di mare di fronte ai nostri confini può essere bucata in cerca di petrolio.
Le prime procedure per l’assegnazione dei diritti di ricerca in quest’area sono già state portate a termine. Dieci aste sono andate a compimento – nonostante la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) non si sia ancora conclusa – e hanno portato all’assegnazione di altrettante concessioni a cinque compagnie, tra cui l’ENI.
Il piano del governo di Zagabria ha messo sul “chi vive” gli ambientalisti di Greenpeace, che denunciano le sue lacune dal punto di vista ambientale. Sarebbe così raffazzonato da diventare «potenzialmente disastroso per uno spazio chiuso come l’Adriatico», fa sapere l’associazione.
Lo Strategic Environmental Assessment croato infatti, su circa 400 pagine dedica poche righe agli impatti sull’Italia, scrivendo che non ci saranno effetti sui Paesi confinanti: «Non si prevedono impatti transfrontalieri per quanto riguarda le aree Natura 2000 in Italia, escluso in caso di incidenti», è la stima. Una postilla che dovrebbe far drizzare i capelli in testa all’esecutivo italiano.
Le aree Natura 2000 comprendono una rete di siti di interesse comunitario che l’Unione europea ha stabilito nel 1992. Ai limiti della parte nord del campo di ricerca numero 1 (visibile nella mappa sottostante) si trova la zona Natura 2000 IT 330009 Trezze San Pietro Bordelli, in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di un sito marino di interesse europeo, con biodiversità di flora e fauna acquatica e con speciali formazioni geomorfologiche. Ecco, in quest’area, secondo la VAS croata, «non si può escludere l’impatto transfrontaliero».
Altre zone a rischio sono le isole Tremiti, a 22 km appena dai bordi esterni dei campi di ricerca n. 18 e 24.
«Anche se sono scaduti i termini per presentare osservazioni, il nostro governo può ancora chiedere di essere consultato in merito alla Valutazione Ambientale Strategica – spiega Andrea Boraschi, responsabile energia di Greenpeace – Sembra che comincino ad esserci almeno delle interrogazioni parlamentari in merito, è importante che vengano sottolineati gli impatti transfrontalieri di una simile pratica».
E infatti i senatori del Movimento 5 Stelle Gianni Girotto e Gianluca Castaldi hanno appena diffuso un comunicato in cui annunciano di aver interpellato l’esecutivo: «Le trivellazioni petrolifere nel mare della Croazia rischiano di metter in pericolo anche l’ecosistema marino italiano e di compromettere irrimediabilmente le attività turistiche su cui si sostengono decine di migliaia di famiglie italiane. Per tali motivi chiediamo al Governo italiano di aprire un contezioso con la Repubblica Croata per fermare lo scempio del mare Adriatico. Ci sono ormai evidenze scientifiche che le piattaforme a mare rilasciano fluidi di perforazione e scarti metallici direttamente nelle acque marine, che includono sostanze tossiche fra cui cromo, mercurio e benzene».
Anche Greenpeace individua rischi concreti per le coste italiane e il loro mare: alcune aree prevedono la tecnica di “ultra deep drilling”, cioè di trivellazione ad alte profondità (più di 1.000 metri). I possibili impatti aumentano quando si buca così in basso, a causa delle tecnologie più potenti da mettere in campo.
Inoltre, l’Italia ha vietato le trivelle in Adriatico nel 1991 a causa del pericolo subsidenza. L’abbassamento dei terreni costieri indotto dall’uomo (estrarre petrolio o gas dal terreno può diminuire la pressione dei fluidi interstiziali residui) potrebbe portare, soprattutto nel tratto settentrionale, ad allagamenti delle città come Venezia.
«Noi abbiamo deciso di essere prudenti, la Croazia no – dichiara Boraschi – Ora siamo al paradosso che le compagnie potrebbero trivellare entro i suoi confini dei giacimenti sottomarini che si estendono nei nostri, amplificando il rischio subsidenza per scongiurare il quale abbiamo messo il divieto quasi 25 anni fa. Secondo contatti ufficiosi che abbiamo stabilito, il governo dovrebbe esprimersi in merito. Ci aspettiamo che succeda presto, dato che alla nostra ultima lettera nessuno dei ministeri ha ancora risposto».
«L’Italia è chiaramente parte in causa nella strategia fossile croata – si leggeva nella missiva che l’associazione ha inoltrato ai ministri Gentiloni, Galletti e Guidi (Ambiente, Sviluppo Economico ed Esteri) – Per questo, Greenpeace chiede che il governo si attivi per garantire la vita e il futuro del nostro mare e sollecita l’esecutivo […] ad esigere dalla Croazia un diritto di consultazione».