(Rinnovabili.it) – La Corte Costituzionale ha pubblicato le sentenze con cui, il 19 gennaio scorso, ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivellazioni in mare.
Dopo il parere della Cassazione, che aveva dichiarato ininfluenti alcune modifiche allo Sblocca Italia inserite dall’esecutivo nella legge di Stabilità, la Consulta ha messo una pietra tombale sul tentativo del governo di evitare alle compagnie petrolifere lo scoglio della consultazione popolare.
Il quesito referendario approvato con sentenza 17/2016 propone di abrogare la norma che consente alle società, già titolari di permessi e concessioni, di sfruttare un giacimento entro il limite delle 12 miglia marine virtualmente per sempre. Lo stratagemma del governo prevedeva di vincolare le autorizzazioni per ricerca ed estrazione «all’intera vita utile del giacimento», fatto che permetterebbe alle compagnie di prendersela comoda e allontanare i costi di dismissione. Il nome del quesito è «Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Abrogazione della norma di esenzione da tale divieto per i procedimenti concessori in corso al 26 agosto 2010 e per i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi a titoli abilitativi».
La sentenza 16/2016, invece, la Corte ha dichiarato estinto il giudizio di ammissibilità dei primi cinque quesiti referendari, sulla scia dell’ultima decisione della Cassazione. Tuttavia, i giudici hanno sottolineato che resta «impregiudicata la possibilità di essere eventualmente adita con ricorso per conflitto di attribuzione avverso l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum». Un fatto che il Movimento No Triv aveva già ben chiaro, tanto appoggiare, la settimana scorsa, il suddetto ricorso presentato da 6 Consigli regionali (Puglia, Basilicata, Liguria, Marche, Sardegna, Veneto). In caso di accoglimento, sarebbero ammessi a referendum altri due quesiti referendari in tema di trivellazioni: quello relativo alla proroga dei titoli sulla terraferma e l’altro, fondamentale, sul Piano delle aree. Quest’ultimo obbligherebbe l’esecutivo a rifarsi ad uno strumento di pianificazione delle attività estrattive condiviso con i territori. In caso contrario, l’opinione degli enti locali non avrà voce in capitolo quando toccherà scegliere le zone da perforare.
Intanto procede la petizione on line (oltre 50 mila adesioni in due settimane) con cui Greenpeace sta chiedendo l’accorpamento della consultazione referendaria al primo turno delle elezioni amministrative (previste fra il 15 maggio e il 15 giugno 2016). Un election day permetterebbe di raggiungere il quorum con minore sforzo, oltre che di risparmiare centinaia di milioni di euro.