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Trivellazioni: scappatoia all’italiana

Il D.L. Sviluppo stabilisce una fascia di rispetto unica per le attività di ricerca ed estrazione off-shore, ma riconosce una proroga a concessioni scadute e l’autorizzazione di domande che non hanno concluso l’iter

A confermare il forte interesse dell’attuale governo per le estrazioni di idrocarburi è subentrato l’art. 35 del D.L. 83 del 22 giugno 2012, il c.d. decreto “crescita”. Già nel gennaio scorso, le bozze del  Decreto liberalizzazioni, contenevano un articolo che, andava a modificare una norma fondamentale per la tutela delle aree marine protette e del patrimonio costiero italiano, inserita nel codice dell’ambiente soltanto nel 2010. L’art. 6 c. 17 del d.lgs 152/06 stabilisce che all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi in mare. Lo scopo della norma è la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, anche per le zone di mare poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l’intero perimetro costiero nazionale. Al di fuori delle medesime aree, le suddette attività sono autorizzate previa sottoposizione a procedura di VIA, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività sopra menzionate. La norma del decreto liberalizzazioni ribadiva il divieto di svolgere attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi all’interno di aree marine protette (da individuare con decreto del Ministero dell’Ambiente); in caso di istituzione di una nuova area marina protetta, le concessioni già rilasciate non avrebbero perso efficacia. Inoltre era previsto che poteva rilasciarsi il titolo abilitativi prima dell’inserimento nell’elenco delle aree sottoposte a divieto. La norma, come noto, fu subito criticata dalle associazioni ambientaliste e da diverse regioni e non fu più inserita nel decreto liberalizzazioni.

L’art 35 del D.L. Crescita torna a modificare l’art. 6 comma 16 del d. lgs 152/06 prevedendo che all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare. Il divieto è inoltre stabilito per le zone di mare poste entro dodici miglia dalla costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Le attività sono sottoposte a procedura di valutazione di impatto ambientale, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività.

La norma, impone un unico e più restrittivo limite per le attività (12 miglia marine), ma riconosce espressamente una proroga a concessioni scadute nonché l’autorizzazione di domande che non hanno concluso l’iter. La norma, secondo quanto scritto nella relazione illustrativa, consentirebbe di completare i progetti di sviluppo di giacimenti già scoperti sui quali risultavano già fatti investimenti e di sviluppare i progetti conseguenti a nuovi rinvenimenti su aree già richieste, evitando oneri a carico delle finanze pubbliche conseguenti a richieste di risarcimento da parte delle imprese per la revoca degli affidamenti fatta ad investimenti in corso.

Aggravando la portata della norma, la relazione illustrativa precisa che nell’ambito delle licenze già rilasciate, possono essere svolte, oltre alle attività di esercizio, tutte le attività di ricerca, sviluppo e coltivazione di giacimenti già noti o ancora da accertare. Da tale previsione ne potrebbe derivare che chi prima di maggio 2010 possedeva un’autorizzazione per la ricerca o trivellazione, con tale norma potrà non solo riprendere la sua attività ma intraprenderne di nuove inizialmente non previste.

Si permetterà quindi alle compagnie petrolifere, per troppo tempo frenate dalla rigidità apparente della normativa italiana, di svolgere qualsiasi attività in mare pur avendo una sola autorizzazione a discapito della tutela del mare.