(Rinnovabili.it) – Nella migliore tradizione italiana, anche Obama rilascia in pieno agosto permessi pesanti. Pochi giorni fa è arrivato l’ultimo via libera presidenziale per le trivellazioni in Artico, un atto che sembra decretare la sconfitta degli ambientalisti in una battaglia lunga mesi. Proteste pubbliche, blocchi stradali e marini, con i kayak calati nelle acque del porto di Seattle a impedire la partenza delle piattaforme petrolifere di Shell. Nulla ha fermato la volontà del governo e dell’industria del petrolio, colosso appena scalfito dalla rabbia minuscola di qualche migliaio di persone. Qualcuna è anche finita in prigione per una notte, colpevole di aver tentato di fermare un potenziale scempio del fragile ecosistema marino al largo delle coste dell’Alaska. I permessi approvati dal ministero dell’Interno consentono a Shell di trivellare nei bacini di petrolio e gas del mare di Chukchi, un luogo remoto e incontaminato, abitato da balene, trichechi, orsi polari e coperto da ghiacci marini a rischio scioglimento.
Secondo il governo degli Stati Uniti, l’Artico custodisce il 20% del petrolio e del gas mondiali ancora da scoprire. Le difficili condizioni nel mare di Chukchi hanno scoraggiato, in passato, altre compagnie dal tentare l’impresa. La stessa Shell nel 2012 ha avuto grossi problemi, con una serie di disavventure tra cui lo squarcio della nave rompighiaccio Fennica e la perdita di controllo di un’intera piattaforma, finita alla deriva. I 18 lavoratori che rischiavano di restare vittime di un disastro irreparabile sono stati salvati dalla guardia costiera.
Eppure, di recente, lo stesso presidente americano che consente ai giganti del petrolio di avviare immediatamente le trivellazioni in Artico aveva parlato agli alaskani, lodandoli per essere «in prima linea per una delle più grandi sfide che abbiamo di fronte in questo secolo: il cambiamento climatico». Dichiarazioni che fanno a pugni con il rilascio dei permessi per attività – in quella stessa zona – che aggravano il problema.