Con la Valutazione Ambientale Strategica si introduce un controllo ex ante sui progetti. Un bastone tra le ruote per le trivellazioni in Adriatico
(Rinnovabili.it) – D’ora in poi, per le trivellazioni in Adriatico sarà obbligatoria la Valutazione Ambientale Strategica. Lo scrive in un comunicato il Movimento 5 Stelle, che rivendica una vittoria in Commissione Ambiente. Ieri, infatti, è passata una risoluzione firmata dai pentastellati che impegna il governo a richiedere la VAS per gli impianti di perforazione al largo della costa adriatica. Il Pd ha deciso di supportarla, nonostante abbia tenuto a chiedere di inserire nella premessa del documento un apprezzamento per la Strategia energetica nazionale (SEN). Un “contentino”, che non dovrebbe modificare la sostanza, dato che d’ora in poi l’esecutivo dovrà fare i conti con un’altra procedura, più stringente delle altre.
L’obiettivo principale della VAS è valutare le ricadute sull’ambiente dei piani o dei programmi, prima della loro approvazione (quindi ex ante), ma anche durante e al termine del loro periodo di validità (in-itinere ed ex post). L’utilità della Valutazione Ambientale Strategica è quella di sopperire alle mancanze di altre procedure parziali di valutazione, poiché invece di intervenire solo ex post, introduce l’esame di impatto già nella fase strategica che precede la progettazione e la realizzazione delle opere.
Una sicura conquista per le comunità locali, preoccupate di veder sorgere piattaforme galleggianti a pochi chilometri dalla costa orientale italiana. Il Mediterraneo costituisce appena lo 0,7 per cento della superficie marina globale, e il ricambio della massa idrica è stimato in circa 80 anni, mentre il suo bacino è attraversato dal 25 per cento dell’intero traffico petrolifero marittimo mondiale. Un bel carico per il Mare Nostrum, che rischia di venire aggravato dall’assieparsi di compagnie interessate all’estrazione di petrolio e gas nei dintorni dell’Italia. Ad oggi sono 15, fra mare e terra, i nuovi piani di estrazione di petrolio e gas in attesa del via libera ambientale: si concentrano soprattutto nello Ionio e in Adriatico.
Secondo i dati forniti dal Piano d’Azione Mediterranea delle Nazioni Unite, ogni anno il Mediterraneo è oggetto di immissioni di idrocarburi per circa 600 mila tonnellate, mentre, a partire dal 1985, si sono verificati 27 incidenti con un totale di 271.900 tonnellate di petrolio sversate. Cifre che rendono il Mediterraneo il mare con il più elevato tasso di inquinamento da petrolio al mondo.
Al suo interno, l’Adriatico è una delle zone più pericolose dove intervenire con trivellazioni. Le coste croate distano solo 100 chilometri da quelle di Venezia e la Croazia ha in ballo trivellazioni sul 95% dell’area marina che le compete. La disposizione sottomarina di alcuni giacimenti sconfina in acque territoriali italiane e l’ecosistema marino dell’Adriatico, caratterizzato anche dal fenomeno della subsidenza, è estremamente fragile. Il governo, spinto dagli ambientalisti, ha finalmente deciso di presentare dei rilievi ai dirimpettai di Zagabria, chiedendo di fornire la VAS dei loro progetti.
Una richiesta piuttosto bizzarra, visto che in Italia non era prevista alcuna valutazione simile per operazioni ad alto rischio come l’estrazione di idrocarburi. La risoluzione approvata ieri potrebbe averci messo una pezza. Oltre a rendere obbligatoria la procedura, ha impegnato il governo a promuovere l’istituzione di una zona di protezione ecologica nel mare Adriatico, con l’obiettivo di tutelare la biodiversità e gli ecosistemi marini.