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Terre incontaminate: bisogna aumentare l’estensione delle aree protette

Le aree incontaminate occupano ancora una vasta parte del pianeta. Tuttavia, la loro frammentazione, dovuta alla presenza di ostacoli morfologici e antropici, mette a rischio gli ecosistemi

Terre incontaminate:
Credit: Bureau of Land Management (CC BY 2.0)

 

Uno studio della National Geographic Society mostra che la frammentazione delle zone selvagge è una minaccia concreta

 

(Rinnovabili.it) – Circa la metà della superficie terrestre non coperta dai ghiacci rimane relativamente selvaggia, anche se molte di queste terre incontaminate risultano frammentate in piccole porzioni isolate e, per questo motivo, in grave pericolo. 

 

A suggerirlo sono i risultati dell’enorme inventario compilato dal 2017 al 2018 dalla National Geographic Society e pubblicato  a inizio ottobre. Lo studio conclude che, nonostante i danni ambientali diffusi causati dallo sviluppo umano (insediamenti urbani e coltivazioni in primis), esiste ancora la possibilità di proteggere le terre incontaminate o rimaste relativamente selvagge. “Non è troppo tardi per puntare in alto“, ha detto Andrew Jacobson, professore di sistemi di informazione geografica al Catawba College nella Carolina del Nord e autore principale dello studio.

 

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Jacobson ha guidato un team di ricercatori utilizzando tecniche di mappatura satellitare per misurare gli impatti umani in tutto il mondo e identificare le aree con la più bassa concentrazione umana. La maggior parte di queste aree si trovano oggi nelle remote foreste boreali del Canada settentrionale e della Russia, lungo gli altopiani dell’Asia centrale, in particolare in Tibet e Mongolia, nei deserti del Nord Africa e dell’Australia e nelle foreste pluviali tropicali del bacino amazzonico. “È una buona notizia per il pianeta: i risultati suggeriscono che circa la metà della terra non ghiacciata è ancora relativamente vergine dall’attività umana, il che lascia aperta la possibilità di espandere la rete globale di aree protette e costruire habitat più grandi e tra loro collegati”, ha aggiunto Jacobson.

 

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Lo studio si è infatti concentrato non solo sulla posizione geografica delle aree a basso impatto umano, ma anche sulle loro dimensioni e forme. In questo caso, i risultati sono stati meno rassicuranti, dimostrando al contrario che molte terre incontaminate risultano frammentate in piccoli pezzi isolati e tra loro separati sia da caratteristiche morfologiche naturali (come corsi d’acqua o rilievi montuosi) che da opere umane, come strade, coltivazioni ed insediamenti. “La metà delle zone in foreste temperate, foreste tropicali secche o foreste di conifere tropicali, ha spiegato Jason Riggio, scienziato della conservazione presso la UC Davis e coautore del rapporto “erano a meno di un miglio da insediamenti umani”.

 

La frammentazione delle aree selvagge e, soprattutto, la loro estrema vicinanza agli insediamenti sono il principale pericolo per gli ecosistemi: “se vogliamo raggiungere gli obiettivi climatici globali e gli obiettivi di sviluppo sostenibile evitando una crisi di estinzione globale, dobbiamo incoraggiare una maggiore protezione degli ecosistemi”, ha detto Jonathan Baillie, vicepresidente esecutivo e capo scienziato della National Geographic Society.

 

Questo rapporto ha concluso Jacobson mostra che è tardi ma che c’è ancora del tempo. Possiamo ancora notevolmente aumentare l’estensione delle aree protette ma dobbiamo agire rapidamente. Le pressioni stanno aumentando e la perdita e la frammentazione dell’habitat stanno rapidamente erodendo gli ecosistemi e la biodiversità in essi contenuta”.