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Verso la COP 25: l’ambizione sui target climatici divide in 2 l’Europa

Il Consiglio dei ministri dell’ambiente prende tempo sulla revisione degli NDC. Mancano obiettivi comuni tra gli Stati membri

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Dieci dei ventotto delegati europei fanno muro sull’aggiornamento dei target climatici 2030

(Rinnovabili.it) – Riunitosi venerdì 4 ottobre, il Consiglio dei ministri dell’ambiente avrebbe dovuto definire con chiarezza la posizione dell’UE, individuando i principali target climatici e presentando gli obiettivi da raggiungere in vista della COP25.

Dato il vertice ONU sull’azione per il clima della scorsa settimana e la conseguente mobilitazione del mondo politico e dell’opinione pubblica sulla questione dei cambiamenti climatici, ci si aspettava una presa di posizione più forte e decisa: di contro, il testo, non ancora definitivo, pare annacquato, incerto e tutt’altro che unanime. Anziché definire con precisione i “Contributi Nazionali Determinati” (NDC) – cioè i piani contenenti le misure per rispettare gli obiettivi dell’accordo di Parigi che le singole Nazioni dovranno necessariamente consegnare il prossimo anno all’ONU – il Consiglio ha optato per un più vago “aggiornamento”, comunque da stabilirsi entro il 2020. “Una tanto attesa decisione di ridimensionare in modo massiccio i tagli alle emissioni dell’UE è stata rinviata ancora una volta in un momento in cui milioni di persone scendono in strada per protestare contro l’inazione del governo”, ha affermato Wendel Trio, capo del gruppo ambientalista CAN Europa. “L’UE deve impegnarsi a raggiungere un obiettivo molto più elevato all’inizio del 2020 per incoraggiare altri paesi a fare altrettanto”.

 

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Ma, per la definizione di più precisi – e stingenti – target climatici,  la strada è ancora in salita: dieci paesi – Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Malta, Polonia e Romania – hanno di fatto tergiversato, ostacolando l’adozione di un linguaggio più esplicito e, quindi, anche una più precisa definizione degli NDC.

Repubblica Ceca e Polonia, in particolare, si sono rifiutate di impegnarsi per il raggiungimento di nuovi target climatici fino a quando i costi per l’abbattimento dei combustibili fossili non saranno completamente definiti, chiedendo all’UE un più generoso stanziamento di fondi. Secondo la Polonia, già sede di quella che è stata definita “la più grande unità di produzione a carbone d’Europa” (trattasi dell’unità B11 inaugurata nel 2017 all’interno della centrale elettrica di Kozienice), l’idea di diventare carbon neutral entro il 2050 è “una fantasia” per la cui realizzazione servirà molto denaro. Una possibile soluzione potrebbe essere la Banca europea per gli investimenti (BEI), che agli Stati membri più poveri, potrebbe scegliere di finanziare il 75% anziché il solito 50%. Dal Consiglio tuttavia arriva l’avvertimento: la pazienza verso i paesi che ancora trascinano i piedi si sta per esaurire.

 

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