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Tara fa rotta verso l’Isola di Plastica

Imparare di più in merito all’impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini e studiare la relazione causa-effetto determinata dal processo di surriscaldamento globale che sta affrontando il Pianeta. Con quest’obiettivo Expeditions Tara, il progetto francese sostenuto dal Programma Onu per l’Ambiente, da sette anni solca i mari con la sua nave oceanografica, monitorando attivamente lo stato di salute delle acque mondiali. Dopo aver completato con successo sei spedizioni – in Groenlandia, Antartide, Patagonia, Georgia sud e l’Artico – dal 2009 la celebre goletta è impegnata in nuova missione scientifica, unica nel suo genere e dedicata allo studio del plancton marino. Il perché alla base del nuovo obiettivo è presto detto: questi microorganismi, costituiscono l’unico ecosistema pressoché quasi costante su tutta la superficie marina. “Studiare il plancton è come prendere il polso del nostro Pianeta” spiega l’organizzazione che sta dietro il progetto. Recentemente gli scienziati hanno scoperto la grande importanza di questa “piccola” voce ambientale: le popolazioni di plancton sono influenzate molto rapidamente dalle variazioni del clima. Ma a loro volta possono influenzare il clima, modificando l’assorbimento di carbonio. In un contesto di rapidi cambiamenti fisico-chimici, come nel caso del processo d’acidificazione osservato attualmente negli oceani, risulta fondamentale e urgente capire e prevedere l’evoluzione di questi ecosistemi.

VERSO LA ZUPPA DI PLASTICA Il mese di settembre ha inaugurato il terzo anno della Missione Oceano di Tara che vede coinvolti oltre 12 campi di ricerca un team internazionale di oceanografi, ecologi, biologi, genetisti e fisici di laboratori prestigiosi. La goletta francese salperà domani verso il “Pacific Garbage Patch”, l’immensa isola di plastica presente nell’Oceano Pacifico settentrionale. Questa particolare zona opceanica, dove le correnti concentrano enormi quantità di particelle di plastica, è in realtà una sorta di “zuppa” gigante di rifiuti, grande come gli Stati Uniti e scoperta per caso dal navigatore americano Charles Moore nel 1997. Da allora, la sua organizzazione, la Algalita Marine Research Foundation sta cercando di comprendere questo fenomeno. In realtà gli scienziati dell’Algalita Marine Research Foundation hanno già collaborato con Tara studiando i livelli di inquinamento da plastica delle acque dell’Oceano Antartico e raccogliendo campioni in corrispondenza o vicino alla superficie dell’oceano. Il lavoro ha dimostrato che l’inquinamento ha raggiunto anche gli angoli più remoti del globo; ogni campione prelevato conteneva minuscole particelle di plastica in una quantità compressa tra i 956 e i 42.826 pezzi per chilometro quadrato. “Per lungo tempo si è pensato che il mare nella sua vastità potesse smaltire i rifiuti, ma non è vero”, spiega Chris Bowler, coordinatore scientifico di Tara. In aggiunta agli strumenti di cattura del plancton, per raccogliere la plastica l’imbarcazione utilizza particolari reti che galleggiano a pochi centimetri sotto la superficie. Il progetto intende valutare le interazioni tra questi rifiuti e il plancton nelle acque del Pacifico: il campionamento sarà combinato con le indagini biologiche, al fine di caratterizzare le comunità microbiche che colonizzano i detriti polimerici e isolare organismi in grado di degradare i prodotti petroliferi.

SOSTENIBILITÀ A BORDO In linea con la missione scientifica prefissatasi, il progetto Tara ha scelto di orientare tutte le sue attività verso il minor impatto possibile. Accanto a scelte decisamente green, come quelle di dotare l’equipaggio di compattatori di rifiuti e di ridurre al minimo l’utilizzo di energia fossile, il team ha deciso di aderire ad un programma di compensazione delle emissioni di gas serra (circa 300 tonnellate equivalenti di CO2) connesse a quelle attività che non possono che dipendere dai carburanti inquinanti. Per farlo Tara ha finanziato un progetto di risparmio energetico in Cambogia basato sulla produzione e la distribuzione di stufe a legna più efficienti, in grado di risparmiare fino al 30% del legno normalmente impiegato.

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