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Su emissioni e clima l’Italia manca il bersaglio: 16a nella classifica CCPI 2018

Pubblicato il rapporto annuale sulle performance climatiche. 16° posto al Bel Paese che gode della passata crescita delle rinnovabili, ma è allo sbando sulla politica climatica

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CCPI 2018: sul clima non c’è alcun primo della classe

(Rinnovabili.it) – Quando di parla di performance climatiche, nessun Paese (tra quelli energeticamente più rilevanti) ottiene la piena sufficienza. C’è, ovviamente, chi si impegna più degli altri, ma come dimostra il CCPI 2018 Indice di performance sul cambiamento climatico di Germanwatch, ancora oggi non c’è alcun primo della classe. Il rapporto, nella sua nuova edizione, è stato presentato oggi alla COP 23 sul clima di Bonn. Il documento, realizzato in collaborazione con CAN, NewClimate Institute e, per l’Italia, Legambiente, classifica 56 Paesi nel mondo in base a emissioni e politiche sul clima.

 

Per tutti l’obiettivo da centrare è l’Accordo di Parigi che prevede l’impegno a mantenere la crescita della temperatura globale ben al disotto dei 2°C. Un impegno che ad oggi, nessuna nazione tra quelle classificate secondo l’indice CCPI 2018, riesce a garantire.

La graduatoria lascia il podio vuoto e inizia a riempirsi a partire dal 4° posto, assegnato ancora una volta alla Svezia, seguita da Lituania e Marocco. Nelle retrovie si posizionano, invece, i due giganti delle emissioni,  la Cina (41°) e gli Stati Uniti (56°): la prima ancora solo all’inizio della sua trasformazione energetica e i secondi alle prese con la politiche pro fossili di Trump. Peggio di tutti fanno la Corea del Sud, l’Iran e l’Arabia Saudita.

 

 

Le performance climatiche dell’Italia

In questo contesto l’Italia sembra mantenersi a galla senza alcuna direzione specifica. La Penisola è 16esima in classifica, posizione raggiunta in realtà nel 2016 e che continua a mantenere grazie al lavoro passato: i numerosi investimenti sulle rinnovabili, il parco produttivo verde e la crescita dell’efficienza energetica degli anni precedenti hanno fatto sì che, in un periodo di contrazione economica (e dunque di minori emissioni), l’Italia progredisse in termini di performance ambientali.

 

Passata la crisi, tuttavia, i consumi energetici sono tornati a crescere e con loro la CO2. Un elemento di per sé non grave ma che lo diventa guardando alle politiche del futuro. La SEN 2030, ossia il documento programmatico italiano sull’energia assegna ai combustibili fossili il ruolo principale. Come ricorda Legambiente, nello scenario tracciato dalla Strategia si dovranno fare carico del 55% dei consumi elettrici (rispetto al 33.5% attuale) e solo del 28% (rispetto al 17.5% attuale) dei consumi energetici totali. A fare il resto del lavoro sarà il gas, che prenderà il posto del carbone. Con queste premesse il Bel Paese otterrà una riduzione delle emissioni climalteranti derivanti dai consumi energetici di solo il 39% nel 2030 e del 63% nel 2050. Obiettivi inadeguati a consentire una riduzione di almeno il 95% delle emissioni entro il 2050, in linea con l’Accordo di Parigi.

 

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