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Stoccaggio CO2 nel sottosuolo: in Svizzera il primo progetto in una regione abitata

Al via il test nelle viscere del Monte Terri, nel Massiccio calcareo del Giura: per 8 mesi verranno pompati 500 mg di diossido di carbonio per valutare la tenuta delle rocce coperte di argilla.

stoccaggio CO2 laboratorio Mont TerriLo stoccaggio CO2 avviene già in aree remote come il deserto algerino o sui fondali del mare del Nord

 

(Rinnovabili.it) – La Svizzera testerà lo stoccaggio CO2 (diossido di carbonio) nelle rocce del Monte Terri, nel Massiccio del Giura, una catena montuosa calcarea situata a nord delle Alpi in Francia, Svizzera e Germania, in un progetto che coinvolge, oltre il Paese elvetico, Canada, Francia, Giappone, Stati Uniti e le compagnie energetiche Total, Chevron, ENI e BP.

 

Per la prima volta lo stoccaggio sotterraneo di CO2 verrà testato in un’area popolata, come appunto la confinante Svizzera: simili siti esistono già, ma in aree remote come il deserto algerino o sotto i fondali del Mare del nord, in Norvegia.

 

Per i prossimi 8 mesi, gli scienziati svizzeri proveranno a pompare 500 mg di diossido di carbonio, dissolto in acqua salata, direttamente nella roccia, attraverso un pozzo trivellato. Il sito scelto, sede del Laboratorio sotterraneo internazionale del Mont Terri, è caratterizzato da uno spesso strato di argilla a copertura della roccia calcarea: l’esperimento punta a valutare se l’argilla possiede le caratteristiche per intrappolare la CO2 all’interno della roccia o se questa riuscirà a trovare una faglia che le consentirà di fuoriuscire.

 

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“La novità di questo esperimento è che, se un giorno dovessimo decidere di stoccare la CO2 in Svizzera, una regione densamente popolata, dobbiamo essere sicuri che il diossido di azoto non riemergerà in superficie contaminando, per esempio, le risorse di acqua potabile – ha spiegato il professor Cristophe Nussbaum, direttore del progetto nel cuore del Monte Terri – Questa è una delle maggiori preoccupazioni a riguardo”.

 

L’avvio delle operazioni ha suscitato le reazioni delle associazioni ambientaliste, preoccupate che lo sviluppo di simili tecnologie possa garantire una sorta di “diritto all’inquinamento” e il rilassamento degli sforzi per ridurre le emissioni: “Quello che ci preoccupa non è semplicemente che queste tecnologie vengono sviluppate– ha commentato Mathias Schlegel, portavoce di Greenpeace in Svizzera – quanto piuttosto che gli sforzi necessari a contenere le emissioni di gas serra non vengono sostenuti con la stessa intensità”.

 

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