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Stati Generali sui cambiamenti climatici: un dibattito all’italiana

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(Rinnovabili.it) – Da qui a Parigi, il clima sarà al centro dell’agenda politica nazionale. È con questo scopo che oggi, a Roma, nell’aula dei gruppi parlamentari, hanno avuto luogo gli Stati Generali sui cambiamenti climatici, una sorta di tavolo di confronto pubblico per il mondo istituzionale e le ONG impegnate sul tema.

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Ségolène Royal

Organizzati da #italiasicura (la campagna di comunicazione governativa contro il dissesto idrogeologico) e dal Ministero dell’Ambiente, hanno visto la partecipazione di un discreto “pezzo” del governo. Ospite d’eccezione è stato il ministro dell’Ecologia francese, Ségolène Royal, che farà gli onori di casa il prossimo 30 novembre, all’apertura della COP 21: «Una responsabilità storica per la Francia», l’ha definita Royal, rassicurando che «ce la stiamo mettendo tutta per ricucire a un accordo vincolante, sostenibile, dinamico, tra i 196 Paesi». Si è impegnata anche a garantire che il Green Climate Fund, il fondo verde per il clima istituito dall’ONU a beneficio dei Paesi poveri, si riempia dei promessi 100 miliardi di dollari entro il 2020. Una missione impossibile, secondo il ministro francese, a meno che non si coinvolgano banche e mondo della finanza. Il rischio, ovviamente, è quello del neocolonialismo dei grandi investitori privati in territori agonizzanti. Ma Ségolène Royal vorrebbe andare per le spicce, utilizzando la leva dell’emergenza: «La questione climatica  è una questione di sicurezza mondiale per via delle guerre a cui può portare per esempio per il controllo delle risorse idriche, dei profughi ambientali, degli eventi estremi».

 

Antonio Navarra
Antonio Navarra

Tensioni dalle quali noi italiani non possiamo dirci al sicuro. Emblematico l’esempio di Antonio Navarra, presidente del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici: «Il Mediterraneo è una zona di confine tra due aree climatiche, una fascia che però nei prossimi anni rischia di spostarsi più in alto di circa cento chilometri. Questo vuol dire che ci troveremo ad avere, in alcune zone d’Italia, il clima del Nord Africa». Ossia minori piogge, maggiore scarsità idrica, difficoltà per l’agricoltura. Del resto, secondo alcuni studi è quello che già oggi accade in Medio Oriente, ad esempio in Siria.

 

Quel che non è chiaro a molta parte dell’opinione pubblica, è che quando si parla di riscaldamento globale non si tratta di questioni in capo alle prossime generazioni. L’impatto dei mutamenti del clima sul nostro Paese è sotto i nostri occhi da tempo. In Italia, gli eventi meteorologici estremi (soprattutto alluvioni) sono in crescita continua. Dal dopoguerra ad oggi, si è passati da poche decine a oltre 400 l’anno, che nel 2014 hanno provocato 33 morti, 10 mila sfollati e 4 miliardi di danni. Nel Bel Paese l’effetto del cambiamento climatico si traduce soprattutto nella moltiplicazione dei fenomeni di dissesto idrogeologico.

 

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Fabrizio Curcio

La mitigazione è dunque necessaria come opera di prevenzione al fine di abbattere i costi di un adattamento che, altrimenti, sarebbe economicamente insostenibile. Ma le mappe del rischio in Italia, così come le strategie per affrontarlo, «non sono più attuali», ha spiegato il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio: «Dobbiamo migliorare le azioni di difesa per trasformare le situazioni critiche in opportunità – ha aggiunto – Ci riusciremo aumentando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e investendo sulle fasi operative di un sistema di adattamento che da noi è già molto avanzato».

 

L’approccio al cambiamento climatico dev’essere interdisciplinare per risultare efficace. Questo è il punto che ha tenuto a sottolineare il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti. Un concetto che, almeno a parole, è stato fatto proprio dal governo. Lo testimonia la presenza di diversi suoi rappresentanti: Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture, Stefania Giannini, omologa con delega all’Istruzione, Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario ai Beni Culturali, Andrea Olivero, vice ministro all’Agricoltura, Simona Vicari, sottosegretario allo Sviluppo Economico. Ciascuno ha sottolineato l’interesse del proprio ambito di intervento nell’affrontare il tema del clima, promuovendo i valori della sostenibilità e sostenendo pratiche di green economy. Anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è intervenuto nel dibattito, lodando l’Enciclica sull’Ambiente di Papa Francesco. «Oggi il nostro nemico è il carbone – ha poi annunciato – Fra 40 o 50 anni avremo bisogno di andare ben oltre la lotta contro il carbone, ma per arrivarci dobbiamo essere capaci anche di dire le cose come stanno, cioè che le rinnovabili da sole non bastano». Inoltre, Renzi ha aggiunto che «da qui a domani mattina non finisce né il petrolio né il gas». Una sorta di attacco all’unica fonte fossile che estraiamo in quantità ridicole, e una difesa di quelle in cui stiamo invece investendo pesantemente. Sfoltito della retorica, il significato dell’intervento del presidente del Consiglio è questo. Lo conferma anche il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, quando dichiara che «l’Italia ha scelto il gas perché ha un basso impatto. Stiamo lavorando all’implementazione delle infrastrutture necessarie».

 

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Peter Turkson

Assorbito e rispedito al mittente, dunque, l’intervento del cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ha ripercorso i passi dell’Enciclica del pontefice per promuovere un’ecologia integrale, capace di contrapporsi alla cultura dell’individualismo e dello scarto, con il riconoscimento del valore intimo di ogni creatura. Belle parole, ma per ora infrante su un muro di gomma eretto in fretta e furia dalla politica, anche italiana. Hanno provato ad abbatterlo anche attivisti della Coalizione Clima, che hanno esposto uno striscione (presto sottrattogli a brutto muso dal personale della sala) con la scritta “NO OIL”, in riferimento ai lasciapassare per le aziende petrolifere contenuti nel decreto Sblocca Italia.  

 

Nel pomeriggio hanno preso la parola le associazioni ambientaliste e i network in difesa del clima (Legambiente, Greenpeace, WWF e molti altri), così come le realtà a tutela dell’agroalimentare, lasciando agli atti degli Stati Generali dei cambiamenti climatici la propria proposta per un impegno che non si fermi alla COP 21, ma guardi più avanti. Molto più avanti.

 

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