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Pesca illegale e inquinamento: squali nel Mediterraneo a rischio estinzione

Il report del WWF segnala il rischio estinzione per il 53% delle specie di Condritti nei nostri mari: molti degli squali pescati finiscono sulle nostre tavole spacciati nei mercati ittici come pesce spada.

squali nel mediterraneo rischio estinzioneAlmeno 73 le specie di razzi e squali nel Mediterraneo: di queste 20 sono ad alto rischio estinzione

 

(Rinnovabili.it) – Gli squali nel Mediterraneo rischiano l’estinzione a causa di un predatore più famelico: l’uomo. Il report del WWF pubblicato in occasione del Shark Awarness Day disegna una situazione critica nei nostri mari: il 53% delle specie di squali e razze presenti nel Mar Mediterraneo sono a rischio a causa dell’attività di pesca di tutte le nazioni che si vi si affacciano e l’Italia è tra i maggiori responsabili del fenomeno.

 

Secondo l’International Union for the Conservation of Nature (IUCN), nel Mediterraneo sono state censite 73 specie di Condritti, la classe di pesci cartilaginosi cui appartengono anche squali, razze e chimere: di queste, il 27% (20 specie) sono minacciate di estinzione a livello critico, il 15% (11 specie) è semplicemente minacciato d’estinzione e l’11% (8 specie) è vulnerabile. Un panorama particolarmente preoccupante se confrontato con la situazione a livello mondiale dove a serio rischio d’estinzione sono “solo” il 2% delle specie di Condritti, mentre a semplice rischio è il 4% della popolazione mondiale di pesci cartilaginosi.

 

Il primo rischio per questi grandi predatori è la pesca: reti da traino, a circuizione, reti da deriva (una pratica illegale e proibita nel Mediterraneo) e la pesca a strascico sono alcune delle tecniche che catturano involontariamente più squali e razze. Alcune specie vengono pescate deliberatamente e destinate ai mercati comunitari e internazionali, mentre altre, catturate involontariamente, vengono ributtate in mare agonizzanti, destinate a morire.

 

Tra il 2000 e il 2008, la media di squali e razze catturati nel Mediterraneo è rimasta stabile intorno alle 8 -12 mila tonnellate annue. Tra il 2009 e il 2010 è stato raggiunto un picco di 20 mila tonnellate annue, per poi tornare a 14 mila tonnellate nel 2015.

L’Italia è il terzo maggiore pescatore di squali e razze nel Mediterraneo con 1.347 tonnellate pescate nel 2015, dietro alla Libia (4,260 tonnellate) e alla Tunisia (4,161 tonnellate). Considerando importazioni ed esportazioni di squali e razze, la Spagna è di gran lunga il primo Paese mediterraneo, mentre l’Italia si attesta come terza nazione al mondo per importazioni.

 

Buona parte del pescato di squali finisce illegalmente sulle nostre tavole: la carne di squalo, ridotta in tranci, viene spesso venduta in maniera fraudolenta come care di pesce spada. secondo la Guardia Costiera italiana, questo genere di scambio rappresenta 1/3 delle frodi nei mercati del pesce in Italia.

Un imbroglio che ha rischi anche per la salute: la carne di squalo, infatti, contiene livelli di mercurio di molto superiori ai limiti indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità.

 

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Il report segnala anche l’inquinamento marino come uno dei principali rischi per la popolazione di squali e razze nel Mediterraneo: la grande quantità di plastiche e microplastiche presenti nel mare nostrum finisce inevitabilmente nella dieta di questi longevi predatori che vivono in media 20-30 anni, ma che, in alcuni casi, possono arrivare fino a 100 anni d’età.

 

Preservare le zone di riproduzione dalla pesca intensiva e modificare la struttura di alcune reti per abbattere il numero di squali catturati involontariamente sono alcune delle misure suggerite dal WWF per fermare la crisi in atto nei nostri mari: “Gli squali rischiano di sparire dal Mediterraneo – ha commentato Giuseppe di Carlo, Direttore della Mediterrean Marine Initiative del WWF – Il loro rapido declino è il segnale più preoccupante dello stato dei nostri mari e delle pratiche di pesca irresponsabili. Tutte nazioni mediterranee sono responsabili. Gli squali sono stati parte del nostro mare e della nostra cultura per migliaia di anni, dobbiamo agire rapidamente per assicurarci che lo rimangano anche in futuro”.

 

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