Al World Economic Forum si è discusso di spreco alimentare e degli impatti sconvolgenti che la produzione di cibo ha sul cambiamento climatico
(Rinnovabili.it) – Lo spreco alimentare non riguarda soltanto l’uomo, ma ha un impatto sull’ecosistema e il cambiamento climatico. Se ne è parlato al World Economic Forum di Davos, che pochi giorni fa aveva eletto la scarsità idrica a problema più grave del 2015. L’acqua dissipata nella produzione del cibo che poi non viene consumato equivale al flusso annuo del fiume più grande d’Europa, il Volga (dati FAO). L’energia usata per il processo produttivo, la raccolta, il trasporto e l’imballaggio di quel cibo sprecato, inoltre, genera più di 3,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Questo porta a concludere che, se i rifiuti alimentari fossero un Paese, questo sarebbe il terzo più grande emettitore mondiale di gas serra, dopo gli Stati Uniti e la Cina.
Il cibo, se non è quanto di più importante l’uomo ha sulla terra, poco ci manca. Perché allora se ne spreca così tanto? La FAO calcola che lo spreco alimentare riguarda un terzo del cibo che acquistiamo: 1.3 miliardi di tonnellate, per un valore economico di un trilione di dollari. Un dato impressionante, tanto più se si pensa che 805 milioni di persone ogni sera vanno a letto affamate, e 56 miliardi di animali terrestri vengono macellati ogni anno (quelli acquatici sono troppi per poterli contare).
Il consumatore, ultimo anello della catena, spreca circa il 35 per cento del cibo che acquista. Il resto degli sperperi avviene negli altri due passaggi, produzione e distribuzione. Ad esempio, molta parte viene lasciata marcire nei campi, o resta a decomporsi nei magazzini a causa di reti di trasporto inefficienti. Altro nodo è la mancanza di tecniche di conservazione adeguate da parte dei mercati.
Possiamo fare molto meglio per il trasporto e la conservazione del nostro cibo, così da permettere una estensione dell’approvvigionamento alimentare. Ma come?
John Mandyck, responsabile sostenibilità di United Technologies, azienda americana di trasporti refrigerati, ha detto al National Geographic che le risposte ci sono: «i governi, innanzitutto, possono emanare norme di sicurezza alimentare nei luoghi in cui non esistono. Così la rete di trasporto dovrebbe adeguarsi e rispettare standard che garantiscano un abbattimento dello spreco di risorse. Anche l’industria può lavorare in maniera costruttiva facendo leva sull’innovazione, così da aiutare nel progresso le economie in via di sviluppo. È importante anche il lavoro sulla comunicazione che la stessa industria può impostare, sensibilizzando i consumatori sugli impatti dello spreco alimentare».