Giovanni Esposito è un docente e consulente della Scuola dello Sport del CONI che da anni si occupa della responsabilità sociale d’impresa nello sport. Ametà aprile ha presentato la sua ultima ricerca “La responsabilità sociale delle associazioni sportive”(ed. SDS) in occasione di un seminario tenutosi in una gremitissima Aula Magna al Centro Sportivo Giulio Onesti a Roma. Il seminario ha goduto degli interventi di autorevoli relatori, tra cui il direttore della Luiss Business School,Franco Fontana, Alain Ferrand, direttore della Maison desSciences de l’Hommeet de la Société Università di Poitiers, e Sergio Cherubini, professore ordinario di Marketing alla Facoltà di Economia a Tor Vergata.
Tutti hanno sottolineato come la responsabilità sociale non è altro che la “terza” declinazione del concetto di sostenibilità, insieme all’ambiente e al valore economico. Lo sport (ma anche l’opinione pubblica) da temposi interrogasu come realizzare le proprie finalità conciliando il rispetto per l’ambientale, fattori economici e le comunità di riferimento.
Le Olimpiadi sono il laboratorio sicuramente più interessante; forse anche un modello esportabile in altri contesti. Nel libro Giovanni Esposito riallaccia tutti questi percorsi, inserendoli in un ragionamento sistemico sulla necessità del mondosportivodi aggiornare i suoi meccanismi decisionali. Con lui proviamo a capire a che punto è giunto lo sport sui temi della sostenibilità e quali gli sviluppi futuri.
Il movimento sportivo si è posto tardi la questione “sostenibilità” oppure ha anticipato i tempi, come spesso è accaduto in passato per altri aspetti?
Nel movimento sportivo la modernizzazione è entrata più rapidamente che altrove ma purtroppo le risorse naturali sono state troppo spesso – al pari di altri settori – considerate inesauribili. Lo sport non sfugge alle medesime regole che devono essere osservate da tutte le attività umane. La capacità di carico del Pianeta va rispettata per garantire che anche le future generazioni possano fare sport. Questo concetto non sempre è stato rispettato.
Londra 2012 appare fino ad ora un Olimpiade coerentemente sostenibile, come ha enfaticamente ricordato Achim Steiner, direttore generale dell’UNEP in occasione della presentazione del secondo report sulla sostenibilità di Londra 2012. Appare oppure è effettivamente così?
Sono convinto che Londra 2012 lascerà alla comunità locale una cospicua eredità, non solo in termini culturali: un modello di sviluppo che considera la sostenibilità non come un costo, ma come un punto di partenza per arrivare all’applicazione concreta della responsabilità sociale, un investimento in grado di apportare benefici nel medio e lungo periodo. “I Giochi olimpici di Londra sono destinati a passare alla storia anche per i tagli di emissioni. Gli organizzatori hanno pubblicato circa un anno prima dell’evento un dettagliato rapporto ambientale (A Bleuprint for Change) – a cui è seguito il secondo recente “Delivering Change”, ndr – definendo e chiarendo in che modo la capitale britannica sta monitorando la propria sostenibilità. Non solo proclami, dunque, ma documenti concreti disponibili anche sul web. C’è poi la supervisione di un ente speciale, la Commissione per la sostenibilità di Londra 2012. Si tratta di un organo indipendente che controlla e garantisce la sostenibilità dei Giochi olimpici e paraolimpici. E’ stata istituita nel gennaio 2007 per mantenere una promessa fatta in occasione della candidatura britannica. E’ la prima volta che una Commissione di questo tipo opera per i Giochi olimpici.
Se l’attenzione su questi argomenti da parte del governo dello sport mondiale ha una data, il 1995 con il riconoscimento dell’Ambiente come terza dimensione dell’Olimpismo, dal punto di vista della Responsabilità sociale quando lo sport si è cominciato ad interrogare?
Credo che un passaggio importante sia rappresentato dal codice europeo di etica sportiva pubblicato nella 7^ Conferenza dei Ministri europei responsabili dello Sport a Rodi (13-15 maggio 1992). Il documento parte dal principio che le considerazioni etiche insite nel gioco leale non sono elementi facoltativi, ma qualcosa di essenziale in ogni attività sportiva e in ogni fase della gestione del settore sportivo. Il codice fornisce un solido quadro etico per combattere le pressioni esercitate dalla società contemporanea che minacciano le basi tradizionali dello sport. Il codice presuppone sia il diritto dei bambini e dei giovani a praticare uno sport e a trarne soddisfazione e che sia responsabilità delle istituzioni e degli adulti promuovere il fair play e garantire che questi diritti vengano rispettati.
Le Olimpiadi sono l’evento sportivo per eccellenza ed un grande affare economico, forse il più grande evento planetario ad eccezione di eventi drammatici come le guerre. E’ naturale che rappresentino anche l’avanguardia di un mondo, quello sportivo, che però è talmente ampio e variegato da non poterlo identificare solo con il CIO. In Italia qual è il livello di attenzione del mondo sportivo verso questi temi?
Coniugare la pratica sportiva e impegno ambientale è una sfida che riguarda in Italia diverse istituzioni, tra le quali primeggiano gli enti di promozione sportiva. Penso ad esempio all’UISP, che ha da tempo avviato manifestazioni nazionali orientate essenzialmente a obiettivi di promozione della vivibilità dell’ambiente urbano con la contemporanea riduzione delle emissioni ed una particolare attenzione al riciclo dei rifiuti. Negli ultimi tempi sta facendo passi da gigante il movimento della pallavolo: la Fipav ha pubblicato il suo secondo bilancio sociale e sta per uscire un manuale ambientale degli eventi locali, nazionali ed internazionali.
Per ora le realtà attente al tema della responsabilità sociale sono ancora molto poche. La responsabilità sociale rappresenta una dimensione pervasiva della cultura di una organizzazione sportiva. E’ un concetto complesso, osservabile da diversi punti di vista ma certamente la sua dimensione strategica sta acquisendo negli ultimi tempi una valenza prioritaria rispetto all’ottica della rendicontazione. Noto ancora troppa volontà di apparire e poca sostanza. Spesso c’è anche una certa inconsapevolezza rispetto all’argomento: molte organizzazioni sportive agiscono responsabilmente ma non comunicano efficacemente quello che fanno.
Nel senso comune, la nota dolente dello sport in Italia riguarda soprattutto l’organizzazione degli eventi, spesso non-sostenibili: nei costi, nell’impatto ambientale, nel valore sociale. E’ così, oppure nel tuo studio hai incontrato realtà organizzative virtuose?
Per troppo tempo si è dato spazio all’idea che i grandi eventi dovevano godere diingenti finanziamenti pubblici. Questa convinzione ha portato a spendere più di quanto fosse possibile, alterando i reali equilibri di un budget che non spreca risorse. Devo anche dire che molti eventi hanno scritto pagine di storia dello sport italiano e continuano a farlo. E’ il segno che ci sono dirigenti sportivi responsabili, ma in generale noto una scarsa cultura manageriale. Nello sport purtroppo ci si affida troppo spesso all’esperienza e si frequentano meno volentieri le aule, ovvero formazione e aggiornamento.
Il sottotitolo del tuo libro è “condividere valori per creare valore”, un concetto richiamato anche dagli interventi dei relatori in occasione del seminario. Esiste un rapporto direttamente proporzionale tra interessi economici e sostenibilità sociale e ambientale?
Direi di si: il “valore” è la somma di quello che gli stakeholder sono disposti ad offrire per ciò che l’organizzazione sportiva fornisce e che loro hanno percepito. Può essere del denaro, nel caso dell’acquisto di un biglietto o di una quota per la partecipazione ad un corso sportivo, ma può anche essere del tempo libero che i volontari sono disposti ad offrire poiché condividono la missione e gli obiettivi del sodalizio sportivo. Solo con la condivisione (e la promozione) dei valori è possibile creare un valore, che è di più della semplice somma delle varie componenti: economica, competitiva ed agonistica, etica, sociale ed ambientale: è la realizzazione piena della dimensione sportiva.
Lo sport italiano ne è consapevole?
Non saprei. Credo che sia giunto davvero il momento che anche i dirigenti sportivi prendano coscienza delle potenzialità e delle responsabilità dello sport. Affinché la responsabilità sociale possa apportare i suoi massimi benefici nelle diverse aree di gestione, è opportuno considerarla non come un addendum alle attività ed ai processi organizzativi consolidati, ma come un elemento cardine della cultura e delle strategie che a tutti i livelli devono ormai inevitabilmente generare un posizionamento valoriale per le organizzazioni sportive che vogliono vincere le sfide proposte da un ambiente sempre più competitivo e complesso.