(Rinnovabili.it) – Nella visione della green chemistry di Versalis, la società chimica di Eni, la regola numero uno è “partire con il piede giusto”, perché “nel caso si realizzino dei processi di trasformazione vincenti, interessanti sia per il loro costo sia per il riconoscimento attribuito sul mercato alle molecole che vengono prodotte, è importante scongiurare il rischio di determinare un’impronta agricola rilevante quando le produzioni cresceranno”. Quindi, “occorre agire con saggezza”, sviluppando prodotti che contengano anche solo una quota di rinnovabili, come punto di inizio. A concedere un’intervista a tutto campo a Rinnovabili.it, in occasione di Ecomondo 2015, sulle sfide aziendali della ricerca nell’ambito della chimica sostenibile è stato Sergio Lombardini, Direttore Ricerca, Sviluppo e Innovazione Tecnologica di Versalis. L’ingegnere è alla guida di un team di scienziati impegnato nello studio di un algoritmo per misurare la sostenibilità di un prodotto chimico.
Ingegner Lombardini, il tema della sostenibilità, legato soprattutto alla vostra attività sviluppata da fonti rinnovabili, è centrale per Versalis. Che cosa significa per la vostra azienda essere sostenibile?
Per Versalis il concetto di sostenibilità è molto ampio e la sostenibilità può essere declinata in tantissimi modi. Per esempio, consideriamo sostenibile non soltanto la chimica che parte da cariche rinnovabili generando prodotti che possano essere più o meno biodegradabili, ma anche la chimica che utilizza per le sue produzioni tradizionali parzialmente materie prime rinnovabili. La sinergia tra fonti rinnovabili e tradizionali permette di ottenere prodotti altamente innovativi che a volte non sono presenti sul mercato. Per noi prodotti sostenibili sono quelli che hanno un impatto ambientale più limitato rispetto ai prodotti tradizionali grazie al loro contenuto di materia prima rinnovabile e che spesso hanno anche requisiti di biodegradabilità, fatto salvo che debbano avere al minimo le stesse performances sulla applicazione dei prodotti che ambisco a sostituire. Ciò detto, occorre tenere presente che in questo contesto anche il processo di produzione va valutato. Quest’ultimo deve determinare delle condizioni di impatto ambientale migliori rispetto ad analoghe molecole prodotte da fossile, sia in termini di condizioni operative, sia in termini di effluenti gassosi, liquidi, solidi.
Un aspetto importantissimo è quello dei processi legati alla sostenibilità. Come può essere misurata la reale sostenibilità di un prodotto chimico?
Prima di tutto sottolineerei il fatto che se un’area di business in crescita, come è quella delle rinnovabili, dovesse essere sostenuta da incentivi – per fare ingresso in modo più deciso sul mercato – è necessario essere in grado di misurare la sostenibilità dei prodotti in modo semi quantitativo. Su questo fronte, in Versalis ci siamo posti una sfida.
Per misurare la sostenibilità, stiamo lavorando su un algoritmo che tiene conto di moltissimi fattori, che sono qualitativi e quantitativi. Fra questi, figura naturalmente l’assessment (valutazione) di prodotto e delle sue materie prime, che è certamente un elemento chiave, ma non solo. In questa valutazione è fondamentale misurare i costi indiretti per la collettività durante il ciclo vita del prodotto, che devono ridursi a seguito dell’uso di alternative rinnovabili, anche parzialmente o biodegradabili se la applicazione ne ha beneficio, rispetto a uno analogo da fossile. Analogamente, bisogna tener conto anche dei benefici che il compratore diretto realizza – non soltanto in termini economici, ma anche in termini ambientali – utilizzando il prodotto rinnovabile rispetto a quello analogo da fossile.
Costi ambientali indiretti e ciclo di vita, sono un tema importante. Il vostro modello di chimica da fossile si armonizza con il modello della chimica da rinnovabili?
Assolutamente sì. Come ho accennato in precedenza, noi riteniamo che anche i prodotti che hanno soltanto una quota di rinnovabili, piuttosto che prodotti che provengano totalmente da carica rinnovabile, abbiano un valore aggiunto rispetto ai prodotti esclusivamente da fossile, sempre che il loro volume di utilizzo sia compatibile con la impronta agronomica necessario per produrlo. Ciò agevolerebbe innanzitutto un maggior utilizzo di cariche rinnovabili. In secondo luogo, favorirebbe questa prima fase di cambio dei processi di produzione di questi prodotti, utilizzando parte dei processi rinnovabili e parte di processi da fossile. Faccio un esempio concreto. Versalis sta portando avanti un progetto di produzione di butadiene, da zuccheri di seconda generazione. Questa molecola, che nel caso specifico sarebbe al 100% rinnovabile, può essere utilizzata come materia prima per la produzione di elastomeri. Quindi una successiva trasformazione del bio-butadiene potrebbe portare al polibutadiene totalmente rinnovabile, in primis, ma anche con gli elastomeri, denominati SBR, che sono una miscela fra stirene e butadiene, parzialmente rinnovabili. Infatti gli SBR, nel caso specifico, sarebbero in quota parte rinnovabili, per quella parte di butadiene che hanno in sé, e in quota parte non rinnovabili, che è quella parte di stirene che contengono. Questi prodotti dovrebbero essere valorizzati più di quelli da fossile, proprio perché una quota parte è stata prodotta da fonte rinnovabile. In seguito potrà essere considerata anche la produzione di stirene a sua volta o parzialmente o totalmente rinnovabile. Sono catene di trasformazione che non possiamo pensare che si compiano e realizzino industrialmente tutte in un solo momento.
Versalis è stata di recente premiata agli Eni Awards per il progetto bioraffineria alimentata da Guayule. Quali sono gli aspetti peculiari di questo progetto e quali risultati avete portato a casa?
L’Eni Award è un premio specifico in questo caso dato ad una società di Eni, ma che viene assegnato a chiunque faccia domanda di valutazione, conferito da un Comitato scientifico di altissimo livello, totalmente indipendente, nel quale sono presenti due premi Nobel, quindi di altissimo rango. Per ottenere il riconoscimento, oltre mille progetti vengono sottoposti a questo Comitato, che impiega parecchi mesi per fare lo screening e valutare le proposte scientifiche. Penso che abbiamo avuto il beneficio di essere premiati per diversi rilevanti motivi: il primo perché i brevetti che sono stati premiati, che prevedono l’utilizzo della biomassa da Guayule (inserire link a dossier Guayule, ndr), contribuiscono alla realizzazione di una piattaforma che ha lo scopo primario di utilizzare al massimo la biomassa stessa di questa coltura, producendo non solo la gomma, che è presente per il 10 per cento nella biomassa secca, ma anche le resine, che sono presenti in una quantità equivalente. Inoltre le nostre invenzioni valorizzano anche la parte residua della biomassa, oltre alla gomma e alla resina, per produzioni di diverso genere, dalle più premianti per fare zuccheri di seconda generazione di eccellente qualità (già testati anche per alimentare microorganismi geneticamente modificati) a produzione di pannelli di legno che necessitano una quantità molto ridotta di formaldeide (grazie al contenuto di resine residue) e quindi con molti meno VOC (“composti organici volatili”, proprietà chiave per l’utilizzo in ambienti confinati) fino alla valorizzazione energetica, avendo risolto il problema della riduzione di ceneri.
Quali sono i prodotti più innovativi che Versalis può vantare?
Oggi i prodotti che contribuiamo a commercializzare sono quelli di Matrìca, denominati Matrilox – oltre a quelli principali che Matrìca produce come l’acido azelaico e l’acido pelargonico– e i derivati dei prodotti principali di Matrìca per l’uso come bio lubrificanti. Penso che la cosa più interessante non siano tanto i prodotti in sé, quanto l’essere riusciti a sviluppare, con scouting di mercato nuove applicazioni per usi quali la concia della pelle dove si vanno a sostituire prodotti che sono completamente differenti, che invece hanno delle caratteristiche di rischio, di pericolosità molto maggiori. La chimica è presente in tantissime trasformazioni, e non è detto che si debba sempre procedere con le stesse molecole in ogni singola applicazione. Un altro prodotto molto interessante che stiamo sviluppando è il Clean 1200, un detergente industriale per superfici metalliche. Anche questo prodotto ha un contenuto uguale a zero di VOC pertanto molto interessante soprattutto dove vi è una esposizione diretta dei lavoratori. Inoltre le sue performances sono superiori alle molecole che ambisce a sostituire; e credo che quest’ultimo prodotto ci darà grosse soddisfazioni.
Si può fare una previsione di quanto tempo occorrerà perché la chimica da fonte rinnovabile possa sostituire la chimica da fonte fossile? E in quale percentuale?
Non penso che mai accadrà che la chimica rinnovabile possa sostituire la chimica da fossile, anche perché questo porterebbe più problemi che benefici in termini di impronta agricola.
Penso infatti che proporsi di raggiungere una percentuale minoritaria sul totale di chimica da fonte rinnovabile sia comunque saggio, anche perché non dobbiamo spingere una crescita del rinnovabile ad ogni costo, che può avere un impatto come footprint agronomico rilevante, bensì dobbiamo accompagnare una sostituzione oculata che preveda la massimizzazione dell’utilizzo della biomassa e la sostituzione di prodotti che permettano nel loro ciclo vita un minor impatto dove specificatamente le applicazioni di questi lo richiedano. Il rischio, altrimenti, è che per risolvere un problema ne creeremmo un altro.
Certamente la valorizzazione dei prodotti rinnovabili nell’ambito della chimica – in modo parziale – a mio avviso è privilegiabile rispetto alla applicazione nei carburanti, proprio perché la chimica, avendo almeno un ordine di grandezza in meno nei volumi commercializzati, avrà un impatto agronomico gestibile per non competere con il food.