L’ECHA mostra che il 12% dei prodotti contiene sostanze chimiche pericolose, ma il vero problema è nell’assenza di informazioni sulla supply chain
(Rinnovabili.it) – L’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) rappresenta la massima autorità europea per la regolamentazione in materia di sostanze chimiche a beneficio della salute e dell’ambiente. Attraverso i suoi diversi Forum Enforcement Projects, l’ECHA lavora per armonizzare i quadri normativi di ciascuno Stato membro e, così facendo, verificare i livelli di conformità alle indicazioni UE, soprattutto per quanto riguarda gli obblighi imposti al settore industriale.
Dal report di uno di questi Forum, che ha coinvolto 15 paesi in un’indagine sulle sostante chimiche pericolose presenti nei prodotti, si scopre che il 12% dei prodotti ispezionati dall’ECHA contiene elementi potenzialmente molto pericolosi, definiti tecnicamente come substances of very high concern (SVHC, estremamente preoccupanti). Infatti, ispezionando 405 aziende nei 15 paesi coinvolti nel Forum, è emerso che 84 dei 682 articoli verificati contenevano in concentrazioni superiori allo 0,1% sostanze considerate come altamente allarmanti per la salute o l’ambiente dalla cosiddetta Candidate List substances.
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I prodotti controllati sono stati preliminarmente selezionati perché era altamente probabile che contenessero specifiche sostanze ritenute pericolose. Questi prodotti includevano, ad esempio, capi di abbigliamento, calzature e tessuti per la casa; fili, cavi e accessori elettronici; pavimenti in plastica o tessuto e carta da parati. Tuttavia, la cosa più grave è che la maggior parte dei fornitori di questi prodotti non fornisce ai suoi clienti informazioni sufficienti sui SVHC presenti nei prodotti.
L’obbligo di comunicare informazioni relative alla catena di approvvigionamento di questi prodotti era applicabile a 45 articoli contenenti tali sostanze chimiche pericolose: i fornitori non lo hanno fatto per 40 di essi (89%), e 37 società su 42 (88%) hanno dichiarato che, dalle informazioni a loro disposizione in merito alla supply chain, non sono riusciti a risalire al nome della sostanza presente nei loro articoli. Per certi versi, dunque, sembrerebbe che l’obbligo di fornire le informazioni ai consumatori sia evaso a causa dell’assenza di conoscenze adeguate sulla catena di approvvigionamento.
I risultati del Forum, dunque, indicano la necessità da parte delle aziende di migliorare le proprie conoscenze sui prodotti e sulle sostanze chimiche in essi presenti, al fine di poterle adeguatamente comunicare ai clienti. “Sebbene quasi il 90% dei prodotti non contenga sostanze estremamente preoccupanti superiori allo 0,1%, il rapporto mostra chiaramente un fallimento della comunicazione nella catena di approvvigionamento. È necessario migliorare, specie se vogliamo contribuire agli obiettivi dell’economia circolare e disporre di una buona base di dati come richiesto dalla direttiva quadro sui rifiuti “, ha affermato Erwin Annys, capo dell’Unità di supporto e controllo dell’ECHA.