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Siti industriali e standard d’emissione: l’UE fa peggio della Cina

Inuovi standard proposti per le centrali a carbone già esistenti, consentirebbero l’emissione del 30% in più di ossidi di azoto e dell’80% in più di ossidi di zolfo rispetto agli equivalenti standard cinesi

Siti industriali e standard d’emissione: l’UE fa peggio della Cina

 

(Rinnovabili.it) – L’Unione Europea si è sempre distinta a livello internazionale per una politica ambientale ambiziosa e lungimirante. Ora però i tempi sono cambiati, e i segni di quella che sembra una decisa inversione di rotta sono evidenti ormai a tutti. Per coloro che tuttavia non fossero ancora conviti, arriva l’ultima conferma: i nuovi standard di emissione dei grandi siti industriali. Bruxelles è impegnata a ridefinire i limiti e i vincoli a livello emissivo per questi impianti, che comprendono tra le altre cose le centrali termoelettriche a carbone. Limiti che, almeno in teoria, dovrebbero rispecchiare gli avanzamenti tecnologici raggiunti in questi anni sul  fronte delle tecnologie di abbattimento degli inquinanti. E invece fa sapere Greenpece, quello che ci troviamo di fronte è l’ennesima delusione: standard emissivi se possibili ancora più deboli di quelli in vigore oggi in Cina.

 

Nel dettaglio si è scoperto che i nuovi standard BREF (Best available technologies REFerence) proposti per le centrali a carbone già esistenti, consentirebbero l’emissione del 30 per cento in più di ossidi di azoto e dell’80 per cento in più di ossidi di zolfo rispetto agli equivalenti standard cinesi. I nuovi standard autorizzerebbero addirittura a costruire nuove centrali che emetterebbero – rispetto alle migliori tra quelle già oggi esistenti – circa cinque volte gli ossidi di zolfo, due volte e mezza gli ossidi di azoto, il doppio delle emissioni di particolato e cinque volte le quantità emesse di mercurio.

 

Cosa comporterà per i cittadini europei questa poca, per non dire nulla, ambizione? Secondo lo studio commissionato dalla stessa associazione e dall’European Environmental Bureau sui dati ufficiali dell’Unione Europea, la differenza tra quanto è possibile fare per difendere la salute dei cittadini europei e quello che si raggiungerà con l’attuale orientamento comunitario è traducibile in un numero di morti aggiuntive dovute all’inquinamento (71 mila casi) e in un aumento delle patologie e dei costi sociali (52 miliardi di euro) nel periodo 2020-2029. «Il costo sanitario, ambientale ed economico della soggezione dell’UE all’industria del carbone rischia di essere enorme e insostenibile», dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. «Quelli che pagheranno un prezzo maggiore, purtroppo, sono i bambini, che più facilmente potranno sviluppare asma, tumore al polmone, problemi cardiaci. Non esistono scusanti per i politici dell’UE che si rifiutano di applicare tecnologie esistenti che possono salvare migliaia di vite. Il carbone causa danni irreparabili ed è tempo per l’Unione di definire i tempi per il superamento di questa fonte energetica», conclude Boraschi.