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Sicurezza e analisi degli alimenti: la parola all’etichetta

analisi degli alimenti

 

 

(Rinnovabili.it) – Quando inizia e quando finisce la vita commerciale di un alimento? Come dobbiamo leggere un’etichetta? In cosa consiste l’analisi degli alimenti? A pensarci bene, l’etichetta di un prodotto alimentare è come una carta d’identità dove – leggendo con attenzione – troviamo tutte le informazioni utili al consumatore (dagli ingredienti ai valori nutrizionali agli stabilimenti di produzione) per fare acquisti senza sorprese. Però non se ne sa mai abbastanza. Ne parliamo con il chimico Daniela Maurizi, esperta di sicurezza alimentare, amministratore delegato del Gruppo Maurizi e segretario della Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici.

 

Chi richiede l’intervento di un laboratorio di analisi degli alimenti? Produttori, rivenditori, associazioni dei consumatori? C’è un accordo con il Ministero della Salute?

Innanzi tutto bisogna distinguere tra le analisi eseguite nel cosiddetto regime di autocontrollo, cioè analisi degli alimenti fatte privatamente dalle aziende, e le analisi ufficiali, richieste dagli organi competenti. Le prime, in genere, sono frutto di una pianificazione attenta e puntuale e le aziende le utilizzano per tenere sotto controllo la qualità dei propri alimenti, mentre le seconde sono eseguite a seguito di attività ufficiali, quali controlli di routine o allerte sanitarie su particolari alimenti. I laboratori per le analisi in autocontrollo devono essere accreditati, devono cioè essere riconosciuti idonei ad eseguire le analisi, da un ente terzo, che in Italia è Accredia (ente unico nazionale di accreditamento che opera sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico, ndr), mentre i laboratori per le analisi ufficiali sono individuati dal Ministero della Salute.

 

La data di scadenza di un alimento è estremamente importante per i consumatori. A volte si buttano cibi ancora perfettamente commestibili. Proviamo a fare chiarezza tra “consumare entro” o “consumare preferibilmente entro”, ovvero tra data di scadenza e termine minimo di conservazione, anche per evitare sprechi alimentari.

La data di scadenza cioè “da consumare entro…” rappresenta un termine tassativo, superato il quale innanzi tutto l’alimento non può più essere venduto e in secondo luogo non vengono garantite le condizioni per un suo consumo sicuro. È una data che il produttore stabilisce di solito a seguito di analisi di laboratorio, e che ovviamente rappresenta un dato “medio”. La data di preferibile consumo invece, cioè “da consumarsi preferibilmente entro il…” rappresenta un’indicazione del mantenimento delle caratteristiche di fragranza di un alimento ma, in genere, non ha a che fare con la sua sicurezza. Un alimento con la data di preferibile consumo superata, pensiamo ad un biscotto, potrebbe non essere più croccante e friabile come ci aspetteremmo, ma è comunque mangiabile senza rischi.

 

Su quale tipo di alimenti vengono apposte le due differenti etichettature?

La data di scadenza è riservata per legge ad alimenti che sono molto deteriorabili dopo un breve periodo; parliamo quindi di alimenti freschi (carne, pesce, formaggi freschi), mentre la data di preferibile consumo è riservata ad alimenti più “stabili” (scatolame, biscotti, ecc.)

 

Daniela Maurizi
Daniela Maurizi

 

Qual è la differenza tra il confezionamento sottovuoto e quello in atmosfera modificata? Quale evita maggiormente la contaminazione batterica, e quindi cosa cambia per il consumatore in termini di sicurezza?

Nel confezionamento sottovuoto viene materialmente tolta aria dall’interno della confezione dell’alimento, facendo in modo che i batteri non possano trovare ossigeno per respirare e quindi per svilupparsi. Nell’atmosfera modificata invece (anche se correttamente andrebbe chiamata atmosfera protettiva) all’interno della confezione vengono insufflati dei gas quali azoto e anidride carbonica, che prolungano la durabilità dell’alimento per effetto della loro azione batteriostatica.  In questo modo si ha un aumento della vita a scaffale dell’alimento e, soprattutto in atmosfera modificata, rimangono inalterati parametri nutrizionali e caratteristiche organolettiche. I prodotti sottoposti ad urto durante il trasporto possono perdere il sottovuoto.

 

 

Un confezionamento difettoso o comunque non a norma, può non incidere sull’aspetto dell’alimento, ma sicuramente sulla sua conservazione. Il consumatore se ne può accorgere? Quali rischi corre?

L’alterazione di una confezione costituisce un grande pericolo per la sicurezza di un alimento. La confezione infatti, oltre a presentare l’alimento al consumatore, viene progettata anche per proteggere l’alimento da possibili contaminazioni e per prolungarne la durabilità. In alcuni casi il consumatore può facilmente notare il difetto (ad esempio quando un sottovuoto ha perso il vuoto e quindi l’imballaggio non è più aderente all’alimento) mentre in altri casi risulta più difficile (pensiamo alle conserve alimentari che possono sviluppare botulino se la pastorizzazione non è avvenuta correttamente). Il consiglio in questi casi è di affidarsi ai propri sensi; se un alimento è stato confezionato male probabilmente si sarà alterato e quindi presenterà dei difetti alla vista, al tatto o all’olfatto. I rischi in questo caso sono molto variabili in base al tipo di alimento e al tipo/quantità di contaminazione che è avvenuta.

 

Cosa stabilisce la legislazione in materia di allergeni?

Gli allergeni devono essere indicati, all’interno dell’elenco ingredienti, con un carattere che permetta di distinguerli dagli altri ingredienti presenti. Vale a dire che deve saltare subito all’occhio la presenza di uno o più allergeni in un alimento. In genere le aziende optano per un carattere “grassetto” anche se nulla vieta di usare altri metodi. Gli allergeni sono individuati a livello europeo ed inseriti in un apposito elenco a disposizione del consumatore.

 

Esiste una certificazione per i prodotti vegani, ovvero cosa deve essere riportato sulle confezioni perché il consumatore sia sicuro che gli alimenti corrispondano alle sue esigenze?

La certificazione vegana attualmente è del tutto volontaria in Italia; esistono degli enti privati che possono certificare la filiera vegana di un alimento. A seguito di questa certificazione, al produttore viene concesso di utilizzare un marchio facilmente identificabile, che indica che l’alimento è adatto al consumo da parte dei vegani. Viceversa, nulla vieta di indicare ad esempio “adatto per vegani” senza apporre alcun marchio, ma il produttore lo fa sotto la sua responsabilità.

 

Le domande che il consumatore si pone circa l’analisi degli alimenti sono tantissime, e qui ne abbiamo potute fare solo alcune. Chi volesse saperne di più sulla sicurezza alimentare può trovare interessanti informazioni sul blog di Daniela Maurizi.

 

 

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