(Rinnovabili.it) – Qualche giorno fa, la NASA ha pubblicato alcune foto scattate da satellite. Il soggetto è il lago d’Aral, uno dei quattro laghi più grandi del mondo. Una volta. Adesso la siccità lo ha ridotto a una pozza, dopo 50 anni di prosciugamento continuo figlio della sconsiderata operazione russa di creare fattorie nel deserto. L’immenso specchio d’acqua, 42.300 chilometri quadrati, eccetto i bordi, è praticamente asciutto. Il lago ha cominciato a ritirarsi quando gli ingegneri sovietici hanno deviato i due suoi più grandi affluenti, l’Amu Darya e il Syr Darya, per irrigare le fattorie create nel deserto fra gli anni ’50 e gli anni ’60. Gran parte dell’acqua è andata sprecata, succhiata avidamente dal terreno riarso.
Ma il lago d’Aral non è l’unico bacino a rischio siccità: il problema esiste in tutto il mondo. È il caso della Cina, che consuma senza ritegno il suo Poyang lake mettendo a rischio la fauna acquatica e 87 specie di uccelli, compreso il 98% della popolazione di gru siberiane.
Stessa sorte per il lago Oroumieh, in Iran, che un tempo è stato fra i più grandi laghi salati sulla terra. Si è ristretto dell’80% nello scorso decennio, e le cause vanno dal cambiamento climatico all’aumento dell’irrigazione, fino alle dighe erette sui fiumi che lo alimentavano. Le rocce salate che una volta riposavano sul fondo dello specchio d’acqua, oggi affiorano in superficie.
Non gode di buona salute nemmeno il Mar Morto, adagiato fra Israele, Palestina e Giordania. Le doline si stanno aprendo tutto intorno al lago, dovute alla deviazione del fiume Giordano per rifornire le comunità di acqua potabile, ma non solo. La continua estrazione di minerali, da parte delle compagnie chimiche, ha prodotto un abbassamento del 30-40% del livello dell’acqua.
Altro Paese che rischia la siccità è la California: nell’area di Santa Barbara, il Cachuma Lake rappresenta la più importante fonte di approvvigionamento idrico. Anche qui la continua e crescente richiesta d’acqua sta rapidamente esaurendo le risorse.
Si può immaginare quel che succederà quando, entro pochi anni, la geografia globale dell’acqua sarà stata alterata irrimediabilmente dall’impronta ecologica dell’essere umano. Guerre? Carestie? Migrazioni? O magari, più probabilmente, tutte e tre le cose?