(Rinnovabili.it) – Ogni anno le foreste della terra assorbono circa un quarto dell’anidride carbonica di origine antropica, rallentando efficacemente la velocità e la gravità del riscaldamento globale. In altre parole gli alberi si fanno carico del nostro inquinamento, fissando la maggior parte di questo carbonio nel loro tronco e conservandolo lì per secoli. Un servizio, per così dire, gratuito ma che possiede un valore immenso, stimato in circa 1000 miliardi di dollari l’anno.
I cambiamenti climatici in atto stanno però danneggiando questa capacità delle piante: alimentando la siccità, gli incendi e la diffusione di parassiti, il clima sta seriamente mettendo a repentaglio il loro destino, aumentando di conseguenza anche il rilascio del carbonio. E secondo un nuovo documento pubblicato su Nature, l’impatto della siccità sugli alberi è più drammatico di quanto si credesse fino a ieri.
Un team di scienziati americani ha scoperto infatti che le foreste colpite dalla siccità e climi particolarmente aridi non sono in grado di ripristinare il loro stato naturale in breve tempo. A rivelarlo sono gli anelli del tronco.
Gli scienziati sanno ormai da decenni che durante periodi particolarmente secchi, gli alberi crescono più lentamente. Quello che si è chiesto William RL Anderegg, autore principale del lavoro, è: che cosa succede dopo? In altre parole, passato l’allarme, tornano a crescere normalmente, riassorbendo la stessa quantità di CO2? La risposta è tutt’altro che positiva. Anderegg e colleghi hanno scoperto che, contrariamente alle precedenti supposizioni, la siccità ha significativi effetti “ereditari” sulla crescita degli alberi. Non solo gli anelli generalmente si riducono durante questi periodi, ma mostrano una crescita contenuta anche in seguito. Ci vogliono da uno a quattro anni per gli alberi, a seconda della specie, per recuperare completamente le condizioni pre-siccità. A causa delle differenze fisiologiche nel modo in cui prendono l’acqua infatti le gimnosperme (come i pini), sono le più colpite e anche quelle pertanto che richiedono un maggior tempo di recupero rispetto ad esempio alle siccità angiosperme (ex. querce).